sabato 21 aprile 2012

"Il tempo è un bastardo", Jennifer Egan

Non è facile scrivere qualcosa su "Il tempo è un bastardo". Ci sono troppe cose da dire ed è veramente complesso capire cosa sia davvero fondamentale far sapere a chi segue questo blog. Ogni pagina di questo capolavoro rappresenta un fiume in piena che scorre e tutto trascina e muta. La trama si potrebbe semplicisticamente ricondurre ad un fitto intreccio di storie e vite che si intrecciano, destini che si incrociano e si perdono nei modi più imprevedibili. Il tutto è incentrato sullo scorrere del tempo, lento, inesorabile. Il suo flusso inarrestabile si coglie nelle vite dei numerosi personaggi, nella loro crescita, nel loro invecchiare, ma anche nel ritmo stesso del romanzo, in ogni parola, in ogni pausa, in ogni paragrafo che sapientemente la Egan ha scelto. Il tempo che scorre è nel ricordo di una notte lontana di Alex, nella metamorfosi fisica di una rock star in declino, negli oggetti rubati e conservati da Sasha, nel sole che tramonta e che si ferma per un istante dentro ad un cerchio di fil di ferro. La vita in questo romanzo viene descritta come una serie di eventi apparentemente insignificanti che si susseguono, si accumulano, si incastrano gli uni negli altri, fino a creare una fitta rete di destini che inaspettatamente si incontrano e si influenzano vicendevolmente. I personaggi, numerosi, particolari, sono descritti nel dettaglio e, quasi sempre, sono uniti da un destino doloroso che li ha visti sconfitti. Le cause del dolore sono numerose ma a dominare è quasi sempre l'incapacità di comunicare con le persone che ci circondano e che amiamo.
Jennifer Egan è riuscita a conquistarmi. Non riuscivo assolutamente a smettere di leggere e allo stesso tempo un senso di ansia, un'angoscia profonda si annidavano in me, riflesso dei sentimenti e degli stati d'animo descritti nel romanzo. Solo i libri di Murakami, McEwan e Franzen erano riusciti fino ad ora a suscitare sensazioni del genere in me (o per lo meno di questa intensità). C'è poco altro da aggiungere: leggete assolutamente "Il tempo è un bastardo" e capirete perché ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa e il National Book Critics Circle Award.

giovedì 5 aprile 2012

“Una donna”, Sibilla Aleramo


“Una donna” è l’autobiografia, con poche piccole variazioni, dei primi trent’anni di vita della grande scrittrice Sibilla Aleramo, ed è anche la storia di tante donne dalla notte dei tempi ad oggi. Trasferitasi ragazzina nel centro-sud d’Italia da Milano, la protagonista subisce uno stupro da parte di uno degli impiegati del padre e deve, in un secondo tempo, stare ad un matrimonio riparatore con il suo stesso carnefice. Se in un primo momento, ancora ragazzina ingenua ed illusa, essa pensa di poter amare quell’uomo, ben presto la sua vita diventa un vero e proprio incubo di solitudine, violenza e umiliazioni. Lo spirito discretamente libero con cui essa è stata educata, viene spazzato via da un marito che la costringe ad un isolamento forzato. La vita priva di qualunque sentimento della ragazza viene riscattata dalla maternità, dall’amore incondizionato e dal rapporto simbiotico che essa instaura col figlio. Dopo un tentativo di suicidio l’unica consolazione della protagonista, oltre al bambino, diventa la scrittura, tanto da portarla a Roma a lavorare presso una rivista femminile. Qui respira il clima nuovo di un femminismo che sta nascendo, con le sue speranze e con le sue contraddizioni. La libertà, la voglia di emancipazione, gli esempi di donne coraggiose e forti che incontra, la fanno riflettere sul suo ruolo nel nucleo familiare disastrato e, più in generale, sul ruolo della donna in una società in cui essa è angelo del focolare da proteggere dal mondo esterno ma completamente abbandonata alle violenze e alle angherie del proprio uomo.
La caratteristica sconvolgente di questo romanzo, a mio avviso, è che fu pubblicato nel 1906. I temi trattati, la schiettezza del linguaggio, sono impensabili per l’epoca e lo rendono un’opera moderna. Ebbe immediatamente un enorme successo sia in Italia che all’estero proprio perché rappresenta uno dei primi romanzi femminili e femministi. Lo stile della Aleramo è spesso semplice e un po’ ingenuo, sia a causa della sua giovane età, sia per la sua preparazione autodidatta e poco approfondita. La scrittrice tenta di descrivere un’epoca di cambiamenti e di trasmetterci lo spirito di rivoluzione e di presa di coscienza che investì tutta la società: gli operai nelle fabbriche che iniziano a reclamare i propri diritti, lo smarrimento del mondo borghese di fronte al vacillare dei valori tradizionali, il ruolo degli scrittori e la loro visione del mondo, e poi ovviamente il tema principale che è la donna. L’ispirazione è quella palese a “Casa di bambola” di Henrik Ibsen, uscito nel 1879 e considerato uno dei primi esempi di opera femminista, che viene spesso citato dalla scrittrice (addirittura la protagonista a Roma assiste ad una sua messa in scena). La spirale di violenze e insoddisfazioni che Sibilla Aleramo descrive, prendendo ad esempio le vite sua e di sua madre, e che essa decide di spezzare fuggendo, è la storia purtroppo di tante donne nei secoli e di molte donne ancora oggi. Il marito che diventa carnefice, l’uomo che violenta, picchia, umilia, sono purtroppo ancora oggi una durissima realtà. Anche se molti passi avanti sono stati fatti nel nostro Paese, le donne sono ancora troppo spesso vittime di un amore che non è amore, e la società fatica a difenderle senza se e senza ma (se n’è parlato moltoultimamente). Questo breve romanzo serve per ricordarci che alcuni temi continuano ad essere tristemente d’attualità e che le donne devono continuare a lottare e a non arrendersi di fronte ai soprusi di cui sono vittime, perché una speranza c’è, anche se molto coraggio e dolore sono richiesti per poterla trasformare in realtà.