Ho letto “Underworld” oltre un mese fa ma ho aspettato a scriverne perché raramente in vita mia un libro mi è stato così indigesto durante la sua lettura. Andavo avanti per inerzia, perché io i libri non li abbandono. Questo fino più o meno alla metà delle oltre 800 pagine che lo compongono. Poi ho iniziato a capire, o forse ho continuato a non capire nulla ma mi sono assuefatta alla scrittura complicata e a tratti cervellotica di DeLillo, alle digressioni infinite, alle ripetizioni, ai moncherini di storie che vengono narrate e abbandonate. Mi sono affezionata a questa opera così complessa, insomma. E ora, a distanza di un mese, ne sento la nostalgia e a tratti provo il desiderio di riprenderlo in mano e riaffrontare quel meraviglioso calvario. Sindrome bipolare da lettrice, probabilmente, ma è quanto posso scrivere per farvi capire meglio le contrastanti emozioni che quest’opera ha scatenato in me.
Partiamo dall’inizio. Di “Underworld” è difficile persino riassumere la trama. Si tratta di una storia corale, che parte dagli anni 90 per andare a ritroso fino agli anni 50, escludendo il primo e l’ultimo capitolo che sono esattamente al contrario, cronologicamente parlando. La trama si dipana seguendo il destino di una palla da baseball, quella di un episodio sportivo impresso nel DNA degli americani ma per noi italiani praticamente sconosciuta: nell’ottobre del 1951, al Polo Grounds di New York si giocò una storica partita tra i New York Giants e i Brooklyn Dodgers per la conquista della National League. All’ultimo inning Bobby Thomson, con un fuoricampo sul lancio di Ralph Branca, regalò una storica vittoria ai Giants. Quel colpo è conosciuto come “The Shot Heard ‘round the World” e della palla si sono perse completamente le tracce. DeLillo invece ci racconta di come questa sia stata raccolta da un ragazzino, Cotter Martin, e abbia cominciato a entrare e uscire dalla vita di collezionisti di cimeli sportivi e da ossessionati dal baseball. Miriadi di storie che si intrecciano attraverso gli Stati Uniti e la Storia, quella con la S maiuscola. Ma tra tutti i personaggi che DeLillo introduce e rimuove dal suo racconto, è sicuramente Nick Shay il suo protagonista. Nick è cresciuto nel Bronx (come DeLillo), abbandonato dal padre italiano quando era ancora un bambino, e allevato dalla madre irlandese con il fratello minore, Matty, piccolo genio degli scacchi. È a quell’infanzia difficile, culminata con il carcere minorile, che DeLillo lentamente ci guida, a ritroso, attraverso la seconda metà del secolo scorso. Per Nick Shay, possessore della palla da baseball negli anni 90, questa è simulacro dell’imponderabilità del destino, dell’istintività che accompagna certi gesti umani che cambiano il destino dell’uomo per sempre. Come è accaduto a Branca, nel momento in cui ha deciso di lanciare la palla a Thompson proprio in quel modo, portando alla sconfitta la sua squadra, o come è accaduto allo stesso Nick, quando ha deciso senza motivo di premere un grilletto.
Non è solo il destino a riempire le pagine di “Underworld”: c’è la Guerra Fredda e la paura della bomba atomica, il degrado del Bronx e dei quartieri poveri di New York, dilaniati dall’AIDS negli anni 80. C’è l’ossessione per la memoria e i ricordi, e quella per i media (il video trasmesso ossessivamente dell’ennesimo omicidio perpetrato da un serial killer, accompagna gran parte del libro). Ci sono i rifiuti, che rappresentano ciò che resta della vita dell’uomo ma anche ciò che le ingombra e le avvelena lentamente. Ma soprattutto, la protagonista principale del romanzo è la rete fittissima e indistricabile di connessioni che costellano la vita di ognuno di noi. DeLillo tesse questa tela intricata con maestria e riesce nel suo intento principale: farcene capire la complessità. La Storia è fatta di destini e di storie che si incontrano solo per un attimo, solo per il tempo di uno sguardo, ma da cui si dipanano altre infinite vicende e vite. Per questo vicino a Nick Shay, alla suora del Bronx sorella Edgar o all’artista Klara Sax, troviamo anche personaggi famosi, che sono rimasti nella storia (J. Edgar Hoover, Frank Sinatra, Lenny Bruce), e accanto a banali storie di vita quotidiana troviamo grandi fatti della Storia americana. Le connessioni sono tanto contorte e complesse che vengono colte dal loro deus ex machina, Don DeLillo, mentre appaiono sotterrate, nascoste invece ai loro protagonisti. Anche a questo si riferisce il mondo sotterraneo, l’“Underworld” che dà il titolo al romanzo. Underworld è l’inferno ma è anche il sottosuolo, il luogo dove i rifiuti che Nick Shay stocca vengono lentamente gettati e, quando la Guerra Fredda termina, è sempre sottoterra che le scorie nucleari del disarmo vengono nascoste, col loro carico di morte e distruzione. Ma “Underground”, o meglio “Underwelt” è anche la pellicola leggendaria di Eisenstein che Klara Sax visiona in un certo episodio del libro. I corpi striscianti, devastati e orribilmente trasfigurati che popolano il mondo sotterraneo del film, un vero e proprio inferno post moderno, devastato dalla radioattività degli esperimenti di scienziati pazzi, non sono poi tanto diversi dai personaggi del romanzo stesso, abbruttiti dalle loro storie e dalle loro contraddizioni, abitanti di un inferno personale che tentano di nascondere e camuffare, come fa Nick Shay con i rifiuti e con il proprio passato.
Non posso e non voglio dirvi molto di questo libro. È un romanzo difficile. O almeno, per me lo è stato. Ma è anche qualcosa che di certo non avete mai letto prima d’ora, qualcosa di nuovo e assolutamente inimitabile. Da provare, con consapevolezza.
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