“Fai bei
sogni” è stato un vero e proprio caso letterario degli ultimi mesi in Italia e
leggendolo ho capito perché. Oltre alla scrittura sempre fresca e carica di
umorismo sottile, quali ci ha abituati Massimo Gramellini negli ultimi anni
dalle pagine de La Stampa, con rubriche divenute veri e propri cult come “Cuori
allo Specchio” o “Buongiorno”, in questo romanzo autobiografico è soprattutto
la storia a farla da padrona.
Gramellini
ci apre il suo cuore raccontandoci la sua vita, dall’età di nove anni, fino ad
oggi. La sua esistenza è stata drammaticamente segnata dalla morte della madre
e dall’assenza di figure femminili nella sua adolescenza. A questo si è unito
un rapporto conflittuale e difficile con il padre Raoul, un uomo-orso per
stessa definizione di Gramellini, incapace di supplire alla carenza di affetto del
figlio, con i suoi modi duri e burberi. L’impossibilità di amare, un senso di
insoddisfazione e rabbia hanno caratterizzato per anni la vita del giornalista,
tanto da fargli chiamare questo suo demone interiore come una delle figure che
maggiormente lo terrorizzavano da bambino: Belfagor. Questo mostro vive nel
cuore di un bambino che diventa adulto senza la presenza di una mamma che via
via diventa angelicata, mitizzata. Crescendo Belfagor diventa più debole o più
temerario a seconda delle esperienze della vita: l’amore per una ragazza lo
indebolisce, una brusca rottura lo rinvigorisce, diventa una presenza devastante
che impedisce di continuare gli studi in giurisprudenza, per poi diventare
leggero quando la fortuna lo porta a scrivere di sport per un giornale. Fino
alla resa dei conti finale in cui una busta marrone, contenente la verità su
sua madre, lo obbligherà a fare i conti con le proprie ansie e le proprie paure
e a rivalutare le scelte del passato.
Un romanzo autobiografico carino e commovente
sull’incapacità di confrontarsi col proprio passato e di amare senza paura.
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