Molti di voi (me compresa) avranno sentito
parlare di “Stoner” lo scorso anno ma questo libro è stato scritto nel 1965. Alla
pubblicazione ricevette un buon consenso della critica e un discreto successo
tra i lettori (nonostante le iniziali preoccupazioni di Williams e della sua
agente, Marie Rodell, sul possibile riscontro commerciale), ma non divenne un
best-seller. Il più grande successo Williams lo ottenne nel 1972 con il romanzo
“Augustus” che vinse il National Book Award per la narrativa (ex-aequo con
“Chimera” di John Barth). Williams non si presentò a riscuotere il premio e non
scrisse più romanzi fino alla sua morte, avvenuta nel 1994, e il suo nome entrò
nella schiera di quegli scrittori dimenticati dai più. E poi, come
nell’editoria può accadere, un piccolo miracolo: nel 2006 venne ripubblicato
dalla New York Review Books e da allora ha risvegliato l’interesse dei lettori
di mezzo mondo, diventando il best seller che non era stato nel 1965. Nel 2013
è stato addirittura eletto libro dell’anno dalla Waterstones (la più famosa
catena di librerie in Regno Unito), oltre a conquistare lettori illustri come
McEwan, Hornby, Bret Easton Ellis, Peter Cameron e Tom Hanks. Ma cosa ha
suscitato tanto clamore attorno a questo romanzo? Persino gli esperti del
settore sono rimasti sorpresi di questo successo del tutto inaspettato e nato
dal passaparola tra i lettori, la miglior pubblicità che un romanzo possa
ricevere. Anche io mi sono interrogata su questo strano e ritardato successo,
quest’estate, sotto l’ombrellone, osservando il mio fidanzato leggerlo con
foga, incapace di staccarsi dalle sue pagine. Gli ho chiesto: “Come mai ti
piace tanto? Di cosa parla?” e lui mi ha risposto candidamente: “In realtà non
succede quasi nulla. È la storia di un uomo normale, ma è bellissima, una
pagina tira l’altra.”. Ora posso confermare che è così. La storia, che Williams
ha tenuto spesso a precisare non è mai autobiografica, nonostante i chiari
parallelismi, comincia nel 1910 con il giovane William Stoner che approda
all’università per seguire un corso di laurea in Agricoltura. Ma durante un
corso obbligatorio di letteratura inglese viene letteralmente ammaliato dal sonetto
73 di Shakespeare, letto in aula dal professor Sloane, e decide di cambiare
completamente il proprio corso di studi, e la propria vita. Invece di laurearsi
in Agricoltura e tornare alla fattoria dove lo attendono i suoi anziani
genitori, si laurea in Arte e comincia un dottorato in Letteratura Inglese.
Presto diventa professore universitario e trascorre un’esistenza di studio,
alle prese con una vita privata ben poco entusiasmante. La moglie Edith è presa
da una personale guerra contro suo marito, in cui coinvolge anche la loro unica
figlia, Grace. Mentre Edith tenta furiosamente di estrometterlo dalla sua casa,
Grace cresce silenziosamente come una prigioniera in una fortezza di cristallo,
compiendo in modo meccanico tutte le azioni che la madre le impone, discosta da
ciò che la circonda come se la propria vita non fosse che uno spettacolo da
osservare impassibilmente. Frustrato da tale tensione domestica, Stoner si
butta a capofitto nella propria carriera di insegnante, motivato dal successo
che pare avere con i propri studenti; ma ben presto si ritrova coinvolto in una
disputa accademica con il potente professor Lomax e anche le sue ambizioni
lavorative paiono essere bruscamente frenate. Si ritrova coinvolto in un
rapporto extraconiugale con una giovane dottoranda, Katherine Driscoll,
assaporando un po’ della felicità che gli sembrava preclusa, e scoprendo di
poter provare un amore insaziabile e disperato anche per un altro essere umano,
oltre che per i suoi adorati libri. Ma la vita di Stoner, senza infamia e senza
lode, è la vita di un uomo infelice, alla ricerca di un senso profondo della
propria esistenza, che il più delle volte pare solo essere una minuscola
zattera sospinta dalla corrente irresistibile degli eventi. È questo il tratto
distintivo e la forza di “Stoner”: è il racconto analitico, scarno e quasi
impersonale della vita di un uomo comune, un’esistenza come ce ne potrebbero
essere tante, di una persona che vive senza slanci e se ne va in silenzio,
senza arrecare troppo disturbo. Ma si tratta anche di una storia di tremenda
solitudine e infelicità, che viene vissuta senza tragedie o isterismi, senza
grandi colpi di scena. La semplicità e la linearità della prosa di Williams
sono esemplari. È un romanzo che si legge da solo, in cui ogni parola è
studiata e limata per creare, attraverso il linguaggio stesso, l’impressione di
normalità che permea la vita di William Stoner e che il suo autore ci descrive
senza mai lasciar spazio a facili compassioni o giudizi. Ma il valore aggiunto
dell’opera, a mio parere, sono le riflessioni che il protagonista si trova a
fare, per lo più in modo casuale, come fossero illuminazioni, e che sono
assolutamente plausibili e moderne: ogni essere umano si ritrova prima o poi a
porsi le stesse domande, solo che Stoner lo fa attraverso le meravigliose
parole di Williams, che si marchiano a fuoco in coloro che le leggono.
Arrivata all’ultima pagina, commossa e
triste, ho capito cosa ha reso questo romanzo un successo anche a distanza di
quasi cinquant’anni: William Stoner siamo tutti noi ed è per questo lo amiamo
così tanto. Se non lo avete ancora letto, fatelo. Vi conquisterà.
Sicuramente una delle migliori letture del mio 2013, un romanzo eccezionale e toccante, scritto divinamente.
RispondiEliminaIo non l'ho ancora letto. Ero già parecchio incuriosita, ma ora non vedo l'ora di leggerlo!! :)
RispondiElimina