venerdì 2 marzo 2012

“Opinioni di un clown”, Heinrich Böll


Hans Schnier è un clown triste e fallito. Dopo anni in giro per la Germania e una carriera promettente e in ascesa, tutto è precipitato: Maria, la donna da lui amata, la sua musa, lo ha abbandonato. La ragazza, fervente cattolica, ha deciso di fuggire da una situazione di concubinato che la opprimeva per sposare un uomo di fede convinta quanto la sua. Hans, dopo tre settimane di spettacoli  deludenti, di tristi sbornie e di stroncature della critica, decide di ritornare a Bonn, la sua città natale. L’abbandono della sua musa lo ha portato a suscitare nel suo pubblico ciò che nessun artista, soprattutto un clown, dovrebbe suscitare: compassione e pietà. Nella sua città ritrova una casa dove l’assenza di Maria è pesante come un macinio e dove i ricordi del passato lo assalgono in ogni momento. Ogni dettaglio della sua amata lo ossessiona e gli salta alla memoria: i particolari del suo corpo, le piccolezze della vita insieme, i due aborti che hanno segnato la vita della ragazza, la sua religiosità, fino alla sua partenza, annunciata da un misero biglietto. Hans, senza mezzi e con un incerto futuro lavorativo dinnanzi, comincia a telefonare alle persone che hanno segnato i suoi 27 anni di vita e a tentare di estorcer loro denaro e notizie di Maria. Le sue telefonate sono il pretesto per immergersi nei ricordi del passato: la guerra e la disfatta tedesca, che hanno segnato la vita della ricca famiglia Schnier con la grave perdita della figlia Henriette, la loro lenta rinascita e il tentativo di ritornare ad una normalità, per lo meno formale, che sembra però irraggiungibile a causa di rancori inconfessabili e insuperabili. E poi la conversione al cattolicesimo del fratello e quegli ambienti religiosi che Hans ha conosciuto solo per fare piacere a Maria, anche se con scarso successo a causa del suo temperamento critico e agnostico. In realtà, scorrendo la rubrica telefonica del clown, Böll ci conduce attraverso le contraddizioni e le ombre della società tedesca degli anni Sessanta, ad uno ad uno i peccati della Germania post-bellica salgono sul palcoscenico del nostro clown e prendono la parola  attraverso i controversi personaggi che hanno costellato l’esistenza di Hans. La religione, di qualunque confessione si tratti, impregna la vita delle persone, dettandone una morale ferrea che fa vivere ogni piccola deviazione dal cammino imposto con un senso di colpa e di peccato, nonostante poi i rappresentanti della Chiesa siano personaggi deprecabili (basti pensare che l'unico prete per il quale il protagonista prova una sincera stima, abbandona il proprio uffizio   per fuggire con una ragazza, irretito dai piaceri della carne). C’è poi lo scontro eterno e insanabile tra CDU e socialisti e la necessità di tutti di inquadrare ogni persona in uno schieramento politico. Ed infine il conflitto interiore di una società che non sa come prendere le distanze da un passato al quale aveva strizzato l'occhio. La portavoce di questa borghesia conservatrice che è stata favorevole, o non ostile al nazismo,è la madre del protagonista: durante la guerra obbliga la figlia diciassettenne ad arruolarsi per difendere il sacro suolo tedesco dagli “yankee ebrei”, ma a fine del conflitto diventa la rappresentante di una serie di esclusivi club antirazzisti.
La critica di Böll è durissima ma è per bocca dello stesso protagonista che egli mette in discussione tutto, addirittura il proprio punto di vista: Hans infatti non solo ammette di avere difficoltà a discernere gli avvenimenti reali della sua vita da quelli completamente creati dalla propria fantasia, ma addirittura ammette, alla fine del romanzo, di essere davvero se stesso solo quando indossa i trucchi di scena e diviene un clown.
Un bellissimo e complesso romanzo che ci mostra le contraddizioni di una società che, nonostante siano trascorsi cinquant’anni, non è poi tanto diversa da quella attuale.

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