Hans
Schnier è un clown triste e fallito. Dopo anni in giro per la Germania e una
carriera promettente e in ascesa, tutto è precipitato: Maria, la donna da lui
amata, la sua musa, lo ha abbandonato. La ragazza, fervente cattolica, ha
deciso di fuggire da una situazione di concubinato che la opprimeva per sposare
un uomo di fede convinta quanto la sua. Hans, dopo tre settimane di
spettacoli deludenti, di tristi sbornie
e di stroncature della critica, decide di ritornare a Bonn, la sua città
natale. L’abbandono della sua musa lo ha portato a suscitare nel suo pubblico ciò
che nessun artista, soprattutto un clown, dovrebbe suscitare: compassione e pietà. Nella
sua città ritrova una casa dove l’assenza di Maria è pesante come un macinio e
dove i ricordi del passato lo assalgono in ogni momento. Ogni dettaglio della
sua amata lo ossessiona e gli salta alla memoria: i particolari del suo corpo,
le piccolezze della vita insieme, i due aborti che hanno segnato la vita della
ragazza, la sua religiosità, fino alla sua partenza, annunciata da un misero
biglietto. Hans, senza mezzi e con un incerto futuro lavorativo dinnanzi,
comincia a telefonare alle persone che hanno segnato i suoi 27 anni di vita e a
tentare di estorcer loro denaro e notizie di Maria. Le sue telefonate sono il
pretesto per immergersi nei ricordi del passato: la guerra e la disfatta
tedesca, che hanno segnato la vita della ricca famiglia Schnier con la grave
perdita della figlia Henriette, la loro lenta rinascita e il tentativo di
ritornare ad una normalità, per lo meno formale, che sembra però irraggiungibile
a causa di rancori inconfessabili e insuperabili. E poi la conversione al
cattolicesimo del fratello e quegli ambienti religiosi che Hans ha conosciuto
solo per fare piacere a Maria, anche se con scarso successo a causa del suo
temperamento critico e agnostico. In realtà, scorrendo la rubrica telefonica
del clown, Böll ci conduce attraverso le contraddizioni e le ombre della società
tedesca degli anni Sessanta, ad uno ad uno i peccati della Germania
post-bellica salgono sul palcoscenico del nostro clown e prendono la parola attraverso i controversi personaggi che hanno
costellato l’esistenza di Hans. La religione, di qualunque confessione si
tratti, impregna la vita delle persone, dettandone una morale ferrea che fa
vivere ogni piccola deviazione dal cammino imposto con un senso di colpa e di
peccato, nonostante poi i rappresentanti della Chiesa siano personaggi deprecabili (basti pensare che l'unico prete per il quale il protagonista prova una sincera stima, abbandona il proprio uffizio per fuggire con una ragazza, irretito
dai piaceri della carne). C’è poi lo scontro eterno e insanabile tra CDU e
socialisti e la necessità di tutti di inquadrare ogni persona in uno
schieramento politico. Ed infine il conflitto interiore di una società che non
sa come prendere le distanze da un passato al quale aveva strizzato l'occhio. La portavoce di questa borghesia conservatrice che è stata favorevole, o non ostile al nazismo,è la madre del protagonista: durante la guerra obbliga la figlia
diciassettenne ad arruolarsi per difendere il sacro suolo tedesco dagli “yankee
ebrei”, ma a fine del conflitto diventa la rappresentante di una serie di
esclusivi club antirazzisti.
La
critica di Böll è durissima ma è per bocca dello stesso protagonista che egli
mette in discussione tutto, addirittura il proprio punto di vista: Hans infatti
non solo ammette di avere difficoltà a discernere gli avvenimenti reali della
sua vita da quelli completamente creati dalla propria fantasia, ma addirittura
ammette, alla fine del romanzo, di essere davvero se stesso solo quando indossa
i trucchi di scena e diviene un clown.
Un
bellissimo e complesso romanzo che ci mostra le contraddizioni di una società
che, nonostante siano trascorsi cinquant’anni, non è poi tanto diversa da
quella attuale.
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