A quattordici anni Susie
Salmon (“Salmon, come il pesce”) viene stuprata e uccisa dal Signor Harvey, un
vicino di casa, mentre ritorna da scuola. La ragazzina, dall’alto di una sorta
di paradiso laico, il “Cielo”, osserva la sua famiglia e i suoi amici affrontare
dapprima il dolore straziante della sua scomparsa, poi il lento ritorno ad una
normalità che sembra ormai irrealizzabile, accompagnato dal rancore e dal
sospetto nei confronti di un assassino impunito. Susie segue e avvicina le
persone che l’hanno amata, talvolta addirittura si palesa per alcuni secondi,
poco più d’un battito di ciglia; li accompagna silenziosa nel lento cammino
dell’elaborazione, personale, della perdita. La sorella-rivale Lindsey si getta
a capofitto negli allenamenti di calcio ed evita di dire il proprio cognome per
non essere riconosciuta come la sorella della morta, ma al tempo stesso è
pronta a rischiare la sua stessa vita pur di dimostrare la colpevolezza del
Signor Harvey. Il padre, Jack, cova il suo sospetto e il suo rancore
lasciandosi avvelenare lentamente l’anima; la madre, Abigail, si chiude in un
dolore muto e distante, incomprensibile per coloro che la circondano. Ma la
bellezza e assurdità della vita sta proprio in questo: le esistenze continuano,
i fili del destino di ognuno si spezzano e si rintrecciano, finché ogni
personaggio, a suo modo, riuscirà ad affrontare e a fare i conti con il
passato. E alla fine riuscirà ad andare avanti, pur senza dimenticare.
La Sebold, che da ragazza è
stata vittima di stupro, sa esprimere una grandissima sensibilità nei confronti
non solo delle donne che hanno subito violenza, ma anche verso coloro che
devono affrontare una grave perdita: le vittime di “Amabili resti” sono soprattutto
i sopravvissuti, che devono metabolizzare l’assenza di Susie, che devono
continuare a vivere, nonostante tutto. Gli “Amabili resti” (o meglio le “amabili
ossa”, sapete quanto sono pignola con le traduzioni!), sono sì le mai ritrovate
spoglie di Susie, ma anche quei rapporti e quegli equilibri che dopo la sua
morte si dovranno lentamente venire a creare per consentire ad ognuno di andare
avanti.
L’idea buona e il
linguaggio semplice (in fondo la narratrice è una ragazzina di quattordici
anni) hanno reso “Amabili resti” un vero e proprio caso letterario, oltre che
un enorme successo editoriale. Tuttavia, alcune scelte stilistiche un po’
dilettantistiche, a mio parere (per esempio il capitolo finale in cui Susie si
rivolge direttamente ai lettori), unite ad alcuni azzardi metafisici (anime che
gironzolano in continuazione laddove sono vissute, che fanno fiorire giardini e
si impossessano di corpi viventi) lasciano al lettore la perenne impressione
che manchi qualcosa, o che qualcosa potesse essere spiegato meglio, soprattutto
nei capitoli conclusivi.
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