Howard Belsey è un
cinquantasettenne docente universitario, inglese trapiantato in un college
statunitense, in crisi di mezza età. Il suo lavoro infinito su Rembrandt non è
ancora pronto per la pubblicazione, ha tradito la moglie afro-americana Kiki e
cerca di tenerlo nascosto. Infine al Wellington College sta per arrivare come
docente ospite il suo acerrimo nemico di una vita Monty Kipps,
ultraconservatore, ultra religioso, in disaccordo con tutte le sue teorie su
Rembrandt, e soprattutto di enorme successo e fama. Howard comincia un viaggio
interiore verso il baratro, esplorando se stesso e l’idea di fallimento ed
egoismo che gli altri hanno di lui e delle sue stranezze. Un viaggio nelle
bellezza e negli errori che egli inesorabilmente commette tendendo ad essa. Howard
è circondato da una serie di personaggi anch’essi alla scoperta di loro stessi:
i figli Jerome, straziato da un amore idealizzato e perduto, Zora, disposta a
tutto pur di primeggiare in ogni attività, e Levi, alla ricerca di una sua
propria identità culturale che lo rappresenti maggiormente rispetto allo status
di borghese meticcio privilegiato. E poi c’è Kiki che cerca disperatamente di
uscire dalla propria solitudine e di riscoprire il suo ruolo nel mondo, al di
là dell’essere moglie (tradita) e madre chioccia che vede i suoi piccoli pronti
a lasciare la sua ala protettrice. Ogni personaggio dovrà scontrarsi con le
proprie contraddizioni interiori, affrontando il gap inevitabile tra ciò che
vorrebbero essere ed apparire e ciò che invece sono veramente, come il mondo
esterno li giudica.
Zadie Smith ha uno
stile inconfondibile e meraviglioso, sa trascinare il lettore con raffinatezza
e grazia tra le volute della propria penna. Inoltre fa un uso massiccio di
neologismi, slang e linguaggio puramente accademico, mescolandoli e creando un
insieme armonico ed equilibrato, che la rende squisitamente inimitabile. Il
difetto di questo libro, a mio parere, è il senso di incompletezza. Molti
personaggi e situazioni vengono introdotti ma poi lasciate in sospeso,
dimenticati. Leggendo mi aspettavo invano che venissero ripresi e non potevo
far altro che pensare alla pistola di Cechov.
Nessun commento:
Posta un commento