martedì 7 febbraio 2012

“Agnes Grey”, Anne Brönte



La mia segreta passione/debolezza sono i grandi romanzi d’amore classici. Ho cavalcato per la  brughiera con Catherine e Heathcliff, ho soccorso l’infermo Mr Rochester insieme a Jane Eyre, ho palpitato d’amore per Mr Darcy, mi sono indignata per la superficialità di Emma.
Le mie aspettative nei confronti di questo romanzo erano piuttosto elevate. Ma, aimè, Anne Brönte non è le sue sorelle e ne risulta che Agnes Grey non possiede l’indomito fervore di Catherine Earnshaw in “Cime tempestose”, né la bontà, la generosità e la risolutezza di Jane Eyre. Agnes è una povera figlia di pastore che, spinta in parte dalla mancanza di mezzi della propria famiglia sia da un proprio capriccio personale, decide di intraprendere la carriera di governante. Il suo racconto si dipana tra famiglie di ricchi parvenu che la maltrattano (e ai quali la protagonista non risparmia aspre critiche), fanciulli capricciosi e violenti, giovani ereditiere vanesie, affettate e superbe, poveri curati di campagna che non fanno che visitare infermi e proclamare sermoni nelle funzioni domenicali. Si tratta di una storia parecchio noiosa in cui non accade mai nulla di significativo e in cui ogni piccolo evento viene raccontato dalla protagonista allo scopo di declamare la propria superiorità morale e quella del suo innamorato, camuffandola poi con qualche scusa e finta modestia. Insomma Agnes Grey conduce una vita che ha ben poco di memorabile e ce la narra dal suo punto di vista, quello di un’acida bacchettona moralista.

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