Il ritorno al lavoro
dopo la pausa natalizia e affrontare la lettura de “La coscienza di Zeno” mi
avevano ridotta al silenzio. Ho affrontato dure e lunghe giornate di
laboratorio per poi rifugiarmi al calduccio a casa e leggere questo tomo. Per
onestà intellettuale devo ammettere che non è stato affatto facile. Più di una
volta mi è capitato di crollare addormentata dopo poche righe. Ma va detto che
nonostante non sia una “lettura da spiaggia” quest’opera mi è piaciuta e anche
parecchio. Si tratta delle memorie di Zeno Cosini, un triestino di fine
Ottocento. Egli intraprende la dolorosa avventura di mettere per iscritto la
propria vita su consiglio del proprio psicanalista. Questi, il dottor S.
(Sigmund? Svevo/Schmitz?), per vendetta, dopo la decisione di Zeno di
interrompere le sedute, decide di pubblicarle. Il protagonista affronta, con la
tipica confusione e scarsa linearità del flusso di coscienza, i grandi temi che
hanno caratterizzato la sua esistenza: il fumo, la passione per le donne, il
commercio. A narrare il tutto è proprio lui in prima persona e quindi ogni sua
azione è filtrata dal suo desiderio di riscattarsi e giustificarsi. Nonostante ciò
traspare che Zeno è un uomo ipocondriaco, inetto, troppo spesso trascinato
dagli eventi, incapace di portare a conclusione il benché minimo proposito. Ma ciò
nonostante egli non può che conquistare la simpatia del lettore (o forse solo
la mia?) proprio perché incarna tutti i difetti che almeno in parte risiedono
in ognuno di noi. Egli tenta disperatamente per tutta la vita di fingersi
migliore di quello che in realtà è, e in continuazione cerca di migliorarsi per
cercare di guarire dalla propria malattia (che in fondo non è altro che l’insoddisfazione).
Un esempio è quello del fumo: ad ogni importante evento della propria vita egli
si ripropone di smettere di fumare ma solo per ricominciare con il suo vizio
più accanito che mai già dopo pochi minuti. Egli è anche un inetto che spesso
tende a perdere il controllo della propria vita per lasciare che questa scivoli
via da lui senza troppo sforzo. È questo il caso del suo matrimonio, avvenuto
dopo un rocambolesco corteggiamento delle due sorelle della sposa.
Su un’opera come questa
ovviamente troverete qualunque genere di commento e critica possibile. A mio
parere il focus dell’intera opera risiede in una delle pagine conclusive del
libro. Zeno si domanda, come quando era bambino, se egli è in fondo una persona
buona o cattiva.
“…me ne venne un dubbio
curioso e subito dopo un curiosissimo ricordo. Il dubbio: ero io buono o
cattivo? “
Questa in fondo è una
domanda che prima o poi ognuno di noi si pone nella vita: siamo davvero persone
buone e pure o in fondo a noi si annida il male, l’oscurità? Zeno scrive la
sua biografia con l’intento di mostrarsi (al suo medico, alle persone che lo
circondano, ma soprattutto a se stesso) una persona migliore di quanto in fondo
non sia. Tenta disperatamente di trasformare attraverso le parole la sua
persona e diventare così colui che in fondo avrebbe voluto essere. Il suo
racconto è probabilmente infarcito di menzogne ma infondo è proprio questo
disperato tentativo di essere accettato (dagli altri e da sé) che mi spinge a
simpatizzare con lui e con le sue infinite debolezze.
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