Questo racconto fa
parte della collezione “Zoom” di Feltrinelli, una bella iniziativa low-cost
(0.99€) per lettori e-book, per far conoscere alcuni grandi scrittori. “La luce
che c’è dentro le persone” è un racconto di Banana Yoshimoto tratto dal suo “Ricordi
di un vicolo cieco”. La scrittrice ci narra un episodio della propria infanzia
il cui protagonista è Makoto, un suo coetaneo e grande amico. Il piccolo è
figlio illegittimo di un ricco pasticcere, allontanato dalla madre naturale per
salvare le apparenze della tradizionale famiglia paterna. Makoto è un bambino
speciale, di una sensibilità e di un candore senza uguali. È lui con il quale
la Yoshimoto scopre la luce che c’è dentro le persone e che illumina col suo
calore anche coloro che le circondano. Una dolce e struggente fiaba che scalda
il cuore.
martedì 21 febbraio 2012
sabato 18 febbraio 2012
“Libero chi legge”, Fernanda Pivano
In questo periodo purtroppo non sempre trovo il tempo per leggere e godermi un buon libro. A causa del lavoro e dei vari impegni spesso non riesco a dedicarmi alla mia vera passione. Per questo ho scelto un libro che è un concentrato di storie, quasi una bibbia della letteratura americana. Fernanda Pivano è stata una delle più grandi giornaliste, letterate e critiche italiane. Fin da ragazza, nel periodo fascista e sotto la guida di Cesare Pavese (suo professore prima al liceo D’Azeglio di Torino e poi alla facoltà di Lettere), comincia a tradurre dall’inglese grandi opere della letteratura americana. La sua primissima traduzione è proprio Pavese a commissionarla: nel 1943 pubblica la prima versione italiana di una selezione di poesie dell’“Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters.
“Libero chi legge” è una sorta di memoriale di grandi libri che
hanno segnato la vita della Pivano e che diventano pretesto per raccontarci
curiosità, pettegolezzi, grandi avventure sia degli autori della grande
letteratura U.S.A. sia dell’autrice stessa. Il pretesto letterario è il
discorso di Franklin Delano Roosevelt sulle quattro libertà (1941), la base del
sogno americano e della sua letteratura, particolarmente caro a Fernanda
Pivano. I libri che si susseguono sono presentati non in uno sterile ordine
cronologico ma sulla base delle libertà: dalla morale, sessuale, di parola e
dalla violenza. Il lettore è guidato con mano sicura tra i grandi innovatori
della letteratura americana, coloro che l’hanno creata, emancipandosi dallo
stile europeo e anglosassone che fino ad allora l’aveva influenzata: la beat
generation capitanata da Jack Kerouac, l’immancabile Hemingway (grande amico
della Pivano, che per la traduzione di “Addio alle armi” è stata addirittura
arrestata), Scott Fitzgerald, Gertrude Stein con Alice B. Toklas, Saul Bellow,
Henry Miller, Truman Capote, un salto nel passato con Melville, James Fenimore
Cooper, Edgar Allan Poe per poi giungere
fino ai più giovani Paul Auster, David Foster Wallace e Jonathan Safran Foer. È
una carrellata su 150 anni di grande letteratura raccontata da una dei suoi
grandi protagonisti. La passione dell’autrice è trascinante e il suo sguardo
critico e la sua formidabili cultura ed intelligenza offrono una serie infinita
di aneddoti spassosi e interessanti, una fantastica lista di ottimi libri che
viene voglia di leggere e, soprattutto, una chiave di lettura acuta e
stimolante per ogni opera presentata. Per gli amanti della letteratura
americana e in generale della lettura è un’opera davvero imperdibile. Ve lo
consiglio caldamente.
martedì 7 febbraio 2012
“Agnes Grey”, Anne Brönte
La mia segreta
passione/debolezza sono i grandi romanzi d’amore classici. Ho cavalcato per
la brughiera con Catherine e Heathcliff,
ho soccorso l’infermo Mr Rochester insieme a Jane Eyre, ho palpitato d’amore
per Mr Darcy, mi sono indignata per la superficialità di Emma.
Le mie aspettative nei confronti di questo romanzo
erano piuttosto elevate. Ma, aimè, Anne Brönte non è le sue sorelle e ne risulta che Agnes Grey
non possiede l’indomito fervore di Catherine Earnshaw in “Cime tempestose”, né la bontà, la generosità e la
risolutezza di Jane Eyre. Agnes è una povera figlia di pastore che, spinta in
parte dalla mancanza di mezzi della propria famiglia sia da un proprio capriccio
personale, decide di intraprendere la carriera di governante. Il suo racconto
si dipana tra famiglie di ricchi parvenu che la maltrattano (e ai quali la
protagonista non risparmia aspre critiche), fanciulli capricciosi e violenti, giovani
ereditiere vanesie, affettate e superbe, poveri curati di campagna che non
fanno che visitare infermi e proclamare sermoni nelle funzioni domenicali. Si
tratta di una storia parecchio noiosa in cui non accade mai nulla di
significativo e in cui ogni piccolo evento viene raccontato dalla protagonista allo
scopo di declamare la propria superiorità morale e quella del suo innamorato,
camuffandola poi con qualche scusa e finta modestia. Insomma Agnes Grey conduce
una vita che ha ben poco di memorabile e ce la narra dal suo punto di vista,
quello di un’acida bacchettona moralista.
giovedì 2 febbraio 2012
“Beethoven era per un sedicesimo nero”, Nadine Gordimer
In questo racconto
breve il premio Nobel Nadine Gordimer affronta il tema della ricerca della
propria identità in un Paese che sta cercando se stesso dopo anni di Apartheid.
In Sudafrica il professore universitario Frederik Morris si appassiona alla
storia del suo bis-nonno arrivato in Sudafrica per fare fortuna con i diamanti
e ritornato in Inghilterra dopo 5 anni passati in Africa. Il dubbio di Frederik
è che durante quegli anni trascorsi lontani dalla moglie, il suo avo possa aver
conosciuto altre donne africane e che egli possieda cugini di vario grado dalla
pelle scura. Si mette quindi alla ricerca di propri omonimi a Kimberly (zona di
intensa estrazione di diamanti, come testimonia il Big Hole). La ricerca è
disperata e i frutti impossibili da cogliere ma è un bisogno viscerale di
creare nel proprio Paese radici che non si possiedono, sentirsi parte di quella
che è una maggioranza (seppur svantaggiata) a condurre Frederik. Pensare di
essere per un sedicesimo nero fa sentire il protagonista integrato e
soprattutto legittimato nelle scelte e nelle lotte di gioventù contro
l’Apartheid, come se in parte essere africano lo rendesse più degno di
combattere quella battaglia.
mercoledì 1 febbraio 2012
“Della bellezza”, Zadie Smith
Howard Belsey è un
cinquantasettenne docente universitario, inglese trapiantato in un college
statunitense, in crisi di mezza età. Il suo lavoro infinito su Rembrandt non è
ancora pronto per la pubblicazione, ha tradito la moglie afro-americana Kiki e
cerca di tenerlo nascosto. Infine al Wellington College sta per arrivare come
docente ospite il suo acerrimo nemico di una vita Monty Kipps,
ultraconservatore, ultra religioso, in disaccordo con tutte le sue teorie su
Rembrandt, e soprattutto di enorme successo e fama. Howard comincia un viaggio
interiore verso il baratro, esplorando se stesso e l’idea di fallimento ed
egoismo che gli altri hanno di lui e delle sue stranezze. Un viaggio nelle
bellezza e negli errori che egli inesorabilmente commette tendendo ad essa. Howard
è circondato da una serie di personaggi anch’essi alla scoperta di loro stessi:
i figli Jerome, straziato da un amore idealizzato e perduto, Zora, disposta a
tutto pur di primeggiare in ogni attività, e Levi, alla ricerca di una sua
propria identità culturale che lo rappresenti maggiormente rispetto allo status
di borghese meticcio privilegiato. E poi c’è Kiki che cerca disperatamente di
uscire dalla propria solitudine e di riscoprire il suo ruolo nel mondo, al di
là dell’essere moglie (tradita) e madre chioccia che vede i suoi piccoli pronti
a lasciare la sua ala protettrice. Ogni personaggio dovrà scontrarsi con le
proprie contraddizioni interiori, affrontando il gap inevitabile tra ciò che
vorrebbero essere ed apparire e ciò che invece sono veramente, come il mondo
esterno li giudica.
Zadie Smith ha uno
stile inconfondibile e meraviglioso, sa trascinare il lettore con raffinatezza
e grazia tra le volute della propria penna. Inoltre fa un uso massiccio di
neologismi, slang e linguaggio puramente accademico, mescolandoli e creando un
insieme armonico ed equilibrato, che la rende squisitamente inimitabile. Il
difetto di questo libro, a mio parere, è il senso di incompletezza. Molti
personaggi e situazioni vengono introdotti ma poi lasciate in sospeso,
dimenticati. Leggendo mi aspettavo invano che venissero ripresi e non potevo
far altro che pensare alla pistola di Cechov.
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