Sono rimasta talmente coinvolta dalla lettura de “Il paradiso degli orchi”
che mi sono subito lanciata a capofitto in quella de “La fata Carabina”,
secondo capitolo della saga di Malaussène. Sono passati pochi mesi dagli eventi
narrati nel primo libro, Benjamin Malaussène ha perso il lavoro al Grande
Magazzino ma è stato prontamente assunto dalla direttrice di una prestigiosa
casa editrice parigina, la crudele Regina Zabo. Il suo compito è sempre lo
stesso, quello che gli riesce meglio: il capro espiatorio. La sua famiglia è
sempre strampalata e ora anche la Mamma è tornata, più incinta che mai,
all’ormai decimo mese di gravidanza. Ad essere cambiato, rispetto al racconto
precedente, è però il clima. Belleville si è incupita, una serie di tragici eventi
si susseguono e tutti hanno per protagoniste persone anziane: vecchiette
insospettabili freddano poliziotti a colpi di P38, un assassino seriale sgozza
con un rasoio anziane donne per rubare loro la pensione, ma soprattutto una
misteriosa infermiera comunale regala amfetamine ai pensionati soli e depressi.
Possibile che questi fatti siano tutti correlati? Questa è l’ipotesi di Zia
Julia, ormai Julie, che indaga per una delle sue inchieste giornalistiche e nel
frattempo affida ai Malaussène gli anziani tossici per una casalinga
riabilitazione. Ogni ragazzo ha in custodia un anziano, che cerca di distrarre
e tenere occupato per evitare che si metta alla ricerca della propria dose. In
particolare Thérèse sfrutta la sua arte divinatoria per tirar su loro il morale
e donare nuove speranze. Alla morte dell’ispettore Vanini, anche la polizia, e
in particolare il misterioso ispettore Pastor, nei suoi maglioni di lana, e
l’ispettore Thian che vive nel quartiere sotto le mentite spoglie della vedova
Ho, si mette finalmente ad indagare sugli strani fatti di Belleville e, manco a
dirlo, tutte le piste sembrano portare al solito capro espiatorio, il santo
Benjamin Malaussène. Riuscirà questa volta a dimostrare la sua innocenza e a
smascherare i veri colpevoli?
Anche in questo romanzo Pennac riesce saggiamente a creare un noir dal
ritmo travolgente. Ogni tassello torna lentamente al suo posto, nonostante
questa volta la trama sia ben più complicata che ne “Il paradiso degli orchi”.
Il racconto è talmente avvincente che difficilmente si riesce a chiudere il
libro, se ne resta calamitati. In questo caso il clima si fa decisamente più
cupo e le violenze più efferate, ma Pennac non perde mai la sua scrittura
spensierata e ironica. Se iniziate non potrete più smettere.
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