“A sud del confine, a ovest del sole” è un romanzo
del 1992 di Murakami Haruki, giunto alle stampe in Italia solo nel 2000
(Feltrinelli) e ristampato recentemente da Einaudi, sulla scia dello strepitoso
successo della trilogia “1Q84” (qui la recensione del primo/secondo capitolo e
del terzo). Questo romanzo breve (per i canoni di Murakami) fu scritto dopo
“Dance Dance Dance” (1988) e soprattutto dopo “Norwegian wood – Tokio Blues”
(1987). La storia vede come protagonista un uomo normale dalle qualità comuni
(come la maggior parte degli uomini dell’universo di Murakami). Hajime è un
figlio unico e crea con la piccola Shimamoto, anch’essa figlia unica e
claudicante a causa della polio, un rapporto di splendida amicizia che diventa
via via tanto profondo da trasformarsi in un ingenuo e tenero amore. Ma causa
del lavoro dei genitori i due bambini vengono separati. Hajime diventa un uomo
senza particolari ambizioni la cui vita viene segnata dapprima dalla brutta
fine della storia con la sua prima fidanzata Izumi (che gli fa capire che può far
soffrire in modo straziante le persone), poi dal matrimonio con una ricca
rampolla del quartiere Aoyama, Yukiko, il cui padre permette ad Hajime di avviare due
locali di musica jazz molto popolari e trendy. La vita di Hajime sembra
perfetta e solida dal punto di vista affettivo e finanziario, sebbene
segretamente egli continui a cercare tra la folla delle strade di Tokio la sua
amica Shimamoto. È proprio grazie allo straordinario successo dei suoi locali che
una sera, seduta al bancone del suo bar, Hajime finalmente ritrova Shimamoto. Il
ricongiungimento con il suo amore di una vita non può che spezzare gli
equilibri sia materiali che psicologici di Hajime, costringendolo a prendere
decisioni strazianti.
In questo romanzo tornano alcuni degli elementi
che hanno reso famosi i romanzi di Murakami in tutto il mondo: oltre alla
musica (la canzone “South of the border” di Nat King Cole dà il titolo al
romanzo), alle figure maschili inette e comuni, troviamo anche donne
straordinarie e misteriose, scene di sesso molto particolareggiate e
soprattutto il Giappone e Tokio, che sono protagonisti assoluti della sua
scrittura. Di nuovo torna l’alone di mistero ma in questo caso non sfocia nella
sfera esoterica come per “Dance Dance Dance”. Anche il suicidio, tanto caro a
Murakami e problema molto sentito nella società giapponese, viene trattato, ma
in questo romanzo in modo più spirituale e meno fisico che in “Norwegian wood”.
Per una volta sarete contenti di sapere che non ci sono gatti o pecore tra i
protagonisti, né si parla in continuazione di cibo.
La spinta emotiva di questo romanzo è molto forte:
l’amore è il motore delle esistenze ma esso pare essere sempre e
inesorabilmente connesso con atroci sofferenze. Non pare esistere rapporto equo
ed equilibrato, l’amore necessariamente è estremo e conduce al dolore.
Essendo una grande ammiratrice di Murakami (ogni
anno incrocio le dita che lui o Roth vincano il Nobel per la letteratura ma non
sono mai accontentata), ho apprezzato “A sud del confine, a ovest del sole”, ma
non posso negare che non si tratta di certo della sua opera migliore. Non ha la
stessa intensità di “Kafka sulla spiaggia”, lo stesso pathos di “Norwegian
wood”, la follia di “Dance Dance Dance”, né l’innovatività di “1Q84”. Se non
avete mai provato Murakami non vi consiglio di partire da questo romanzo, non
rende abbastanza giustizia alla sua maestria di scrittore e alla sua unicità
narrativa, pur essendo un buon libro.
Nessun commento:
Posta un commento