I classici corposi sono la mia passione per gli
stessi motivi per cui il lettore medio di solito li snobba. Le mille e più
pagine non mi spaventano, anzi sono un buon modo per affezionarsi ai personaggi
e scoprire tutto di loro, il linguaggio pomposo e un po’ affettato dell’Ottocento
mi affascina (vorrei poter usare ogni giorno parole come “redingote” o “cretonne”),
le infinite digressioni sugli usi e costumi di un’epoca (pur ammettendone la
pesantezza, sono pur sempre umana!) mi interessano moltissimo. “Middlemarch” è
l’impresa del 2013. Si tratta di un romanzo in Italia forse poco conosciuto.
George Eliot lo scrisse a partire dal 1869 e lo pubblicò dapprima a puntate
(tra il 1871 e il 1872), vista la sua mole considerevole, e poi come opera
unitaria nel 1874. La vicenda è piuttosto complessa. Si svolge nella città
inventata di Middlemarch, nel cuore dell’Inghilterra rurale delle Midlands, tra
il 1830 e il 1832, prima della riforma elettorale e dello scoppio della
rivoluzione industriale. Tra i numerosi protagonisti, un ruolo centrale è
affidato a Dorothea Brooke, una giovane donna benestante, piena di talento e di
moralità. A essa sono dedicati sia il breve preludio che la conclusione
dell’opera, in cui viene paragonata all’indomita Santa Teresa d’Avila. Dorothea
contrae un avventato matrimonio con un anziano e malato studioso, Mr. Casaubon,
attratta dall’istruzione e dal sapere che spera egli le infonderà, e
dall’ammirazione per l’opera che egli sta scrivendo da anni e a cui essa spera
di partecipare in qualche modo. Ben presto si renderà conto non solo dell’infondatezza
delle proprie speranze, ma anche dell’assoluta indifferenza del marito e,
desiderosa di amore e affetto, verrà invece attratta dal di lui cugino, Will
Ladislaw, un giovane idealista e vagabondo, alla ricerca di se stesso. Tra i
due nasce una bella amicizia che potrebbe diventare amore alla scomparsa di
Casaubon, ma questi, straziato dalla gelosia, inserisce nel proprio testamento
una postilla che rende impossibile l’unione tra Dorothea e Will. Ma Middlemarch
è popolata anche da altri personaggi, di varia estrazione sociale, i cui
destini si intrecciano con quello di Dorothea: i Vinchy sono ricchi borghesi,
molto goderecci e modaioli. La bellissima figlia Rosamond sposa un medico, Mr.
Lydgate, per salire nella scala sociale, pur non amandolo; il figlio Fred
invece spera di arricchirsi ereditando denaro e non sa quello che vuole fare
della propria vita. Ci sono poi i buoni Garth, strenui lavoratori sempre alle
prese con problemi economici, il parroco Mr Fearbrother, che mantiene la madre
e le zie e per arrivare a fine mese gioca per soldi a carte. Middlemarch è
insomma un universo composito e ricco, pieno di umanità e vizi, di brava gente
e di figure losche. Dietro le vite impeccabili dei suoi cittadini si nascondono
i peggiori peccati, anche quando questi sono certi di agire in piena buona fede
e secondo le ipocrite regole dell’Inghilterra rurale.
Il romanzo porta il sottotitolo “Uno studio di
vita provinciale” ed in gran parte è proprio questo. La Eliot interviene spesso
in modo diretto nella narrazione, commentando le gesta dei protagonisti, come
se fosse un’insegnante che commenta una lezione. Anche il linguaggio esprime
questo spirito educativo e contribuisce a rendere l’opera particolarmente
realista (se si escludono i personaggi buffi di Mr. Brooke e della piccola Miss
Noble). I temi che vengono trattati, e che sono imprescindibili dall’intreccio,
sono la morale, la religione, la scalata sociale e l’ipocrisia delle
convenzioni borghesi, l’avvento della tecnologia in una società rurale, le
riforme politiche, il ruolo della donna e come esso si evolve con il
matrimonio. Specialmente su questo punto Eliot insiste parecchio. Dorothea è
una donna molto moderna (se escludiamo la sua religiosità estrema), che anela a
emanciparsi, a crescere e a prendere in mano il proprio destino, specialmente
dopo aver sperimentato l’opprimente condizione di moglie di Mr. Casaubon.
Eppure proprio sul finale qualcosa sembra andare storto perché Dorothea
sacrificherà di nuovo le proprie ambizioni per amore. Questa è una delle
critiche che più spesso vengono mosse al romanzo, ma dobbiamo pur sempre
ricordare che si tratta di un’opera di fine ‘800, e personalmente l’ho trovata
estremamente moderna e diversa rispetto ai soliti romanzi dell’epoca. La mia
impressione è stata che laddove finiscono le grandi storie d’amore delle
sorelle Brönte o di Jane Austen, lì comincia “Middlemarch”, svelandoci cosa si
nasconde dentro i bei palazzi dei ricchi, dentro i cottage decadenti dei
poveri, e soprattutto cosa accade alle nostre eroine una volta che si ritrovano
con la fede al dito e costrette a fare figli e a rinunciare alle loro esistenze
come donne, per diventare “mogli”.
Uno splendido romanzo inglese, pieno di pizzi e
tazze di the, lacrime e amori cavallereschi, seppure ben più realistico e meno
idilliaco di quanto di certo avete letto fino ad ora e di quanto mi aspettavo.
Come tutti i “libroni” va affrontato con pazienza: se si resiste alle prime
100-150 pagine senza abbandonarlo, poi non lo si può più lasciare.