Non ho una grande passione per la letteratura
italiana contemporanea, specialmente i romanzi scritti da donne mi lasciano
sempre un po’ interdetta. La sensazione che mi rimane addosso è quella di
leggere la versione cartacea di un film di Gabriele Muccino: un’accozzaglia di
gente disperata e isterica, che urla e strilla senza apparente motivo e che non riesce ad avere un rapporto sano con nessun altro essere umano. Mi danno
l’impressione di essere drammoni tragici per puro amore della tragedia, pesanti
fino a sembrare a volte poco verosimili. Ho letto su un sito di cui mi fido
parecchio (Finzioni, per chi non lo conoscesse), che l’ultimo libro di Elena
Ferrante “Storia di chi fugge e di chi resta” era caldamente consigliato e,
seppur sia parte della trilogia de “L’amica geniale”, lo si poteva leggere
tranquillamente a parte, come romanzo a sé. Sapere di un libro che conclude una
trilogia e non partire dal primo volume mi sembrava un assurdo, e così mi sono
decisa ad acquistare, con curiosità, “L’amica geniale”. Innanzitutto, e questo
mi ha incuriosita ulteriormente, ho scoperto che si tratta di una scrittrice
piuttosto misteriosa: nessuno conosce nulla di lei, potrebbe essere lo
pseudonimo addirittura di uno scrittore uomo, e le poche congetture che si sono
fatte sulla sua vita, sono ispirate dai suoi romanzi, supponendo che partano da
una ispirazione autobiografica.
Partiamo subito col dire che sono rimasta piacevolmente
colpita perché di “mucciniano” c’è ben poco. Il suo stile semplice e scarno, la
storia che trasuda verità, l’attenzione per i poveri e i disadattati, la
descrizione della vita di quartieri che diventano piccole comunità autonome e
tristemente isolate, mi hanno ricordato (forse anche per l’ambientazione
post-bellica) in qualche modo Vasco Pratolini (opinione
personale del tutto contestabile, ma tant’è). Si tratta di un romanzo ben
architettato e ben scritto che racchiude una complessità di personaggi (Lila in
particolare è una ragazza assolutamente unica e a tratti inquietante a causa
della sua intelligenza straordinaria e della sua mancanza di scrupoli) ben
mescolata con la generale semplicità dello stile e dell’ambiente in cui la
storia si svolge. Questo aiuta il lettore a entrare davvero nel rione e a
mescolarsi con la sua gente, con quella che Elena stessa definirà la “plebe” di
Napoli.
Un romanzo di formazione bello e coinvolgente che
spinge il lettore a procurarsi gli altri libri della serie (oltre a “Storia di
chi fugge e di chi resta”, “Storia del nuovo cognome”). Una bella scoperta di
fine anno.
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