Non si fa altro che parlare di Elena Ferrante, a quanto pare, e non solo in Italia. Anche all’estero, escono le traduzioni dei suoi libri, si pubblicano recensioni e articoli in cui si fanno congetture sulla sua identità. Qui in Inghilterra non vi è libreria in cui non sia esposta la tetralogia napoletana, in moltissime librerie Waterstone (dove i commessi espongono sugli scaffali i loro libri preferiti, apponendo fascette ad hoc in cui spiegano cosa amano e perché il cliente dovrebbe leggere un certo romanzo) “L’amica geniale” è indicata tra i “colpi di fulmine” dei lettori. In Italia insieme alla fama della tetralogia cresce la schiera dei suoi detrattori, in uno stile che, come avevo gia denunciato in un post precedente, è molto italico (e alquanto odioso). Sei famoso e vendi? Ti amano all’estero? Per forza ti dobbiamo snobbare (arrivando al punto di paragonare i tuoi libri a dei romanzetti rosa un po’ pruriginosi), dobbiamo odiare ciò che scrivi e trovare qualcosa di losco nel tuo successo. Se poi sei una donna (forse) che scrive di donne, e se non vuoi mostrare da anni il tuo volto ai giornalisti e ai tuoi lettori, allora sei anche colpevole di qualche strano giochetto editoriale, di codardia o di chissà quale altro imperdonabile crimine. Ho già scritto un paio di volte di Elena Ferrante (troverete nel blog la recensione de “L’amica geniale”), e sono una delle sue ammiratrici, seppur non della prima ora. Il mondo dei lettori a quanto pare si divide tra i suoi accaniti fan e i suoi imbestialiti antagonisti. Con la candidatura allo Strega, preparatevi a sentirne molto parlare (male o bene).
Ma passiamo a cosa davvero mi/vi interessa: “Storia di chi fugge e di chi resta”. Lena e Lila sono cresciute. Lena ha studiato alla Normale di Pisa, si è laureata, ha conosciuto Pietro Airota, figlio di una famosa coppia di intellettuali e accademici, e sta per sposarlo. Ma soprattutto l’avevamo lasciata alla fine di “Storia del nuovo cognome” a presentare il suo primo romanzo e a ritrovarsi davanti, dopo anni, il suo primo amore, Nino Sarratore, tornato dal passato come un fantasma. Lila invece vive la sua difficile condizione di donna separata e di madre single. Lavora in una fabbrica di insaccati e deve lottare per la sopravvivenza quotidiana con la sua solita ferocia. Come spesso è accaduto nel passato, la loro amicizia sembrava finita, ma poi, nel momento del bisogno, Lila è ricomparsa, portando squilibrio e insicurezza nella vita di Elena. Questa si trasferisce a Firenze e comincia la sua nuova vita di moglie e madre, divisa tra il suo bisogno di primeggiare e lavorare al suo secondo romanzo, l’impegno politico, e il suo desiderio di dimostrare al mondo, a Lila, ma soprattutto a se stessa, di aver meritato il proprio successo, ma anche tra la maternità, la mancanza di tempo, la dura scoperta della vera natura di Pietro, egoista e problematico, concentrato solo sulla propria carriera e insensibile ai bisogni e ai desideri della moglie. Lila e Lena crescono e affrontano la disillusione della vita, a distanza ma in qualche modo unite dal loro rapporto di amore e odio, di viscerale sorellanza e di morbosa competizione. Le insicurezze di Lena sono le insicurezze di tutte noi: sempre alla ricerca della perfezione, del miglioramento, ma non per un bisogno personale, quanto per mettere a tacere la paura di non essere all’altezza di coloro che la circondano, di non essere degna della loro fiducia. Nonostante l’università e la carriera di scrittrice, Elena Greco resta Lenuccia, la ragazzina insicura del rione, che cerca disperatamente l’approvazione di tutti, che tenta di dimostrare di essere migliore di Lila, suo punto di riferimento e modello. Il loro rapporto contorto, spesso incomprensibile e contraddittorio, è il motore e l’anima di questo terzo capitolo della tetralogia. L’amore è forte ma a tratti pare dominare l’odio, la volontà di ferire e di ferirsi. Perché se Lila soffre, soffre anche Lena, ma questo non le ferma nel loro gioco autodistruttivo. Lila continua a vedere nell’amica la sua via di fuga dal rione, da Napoli, dalla grama vita a cui è stata destinata, ma nel far ciò diventa spietatamente esigente e crudelmente critica verso l’amica, che invece vorrebbe solo sentire l’appoggio, l’approvazione e, soprattutto, l’invidia dell’altra, la sua ammissione di aver perso la guerra instaurata nell’infanzia. Ma Lena e Lila sono indivisibili perché sono una diversa sfaccettatura della stessa donna, forte, indomita, incapace di accettare in silenzio le regole imposte da un mondo in cui sono gli uomini a dominare, in cui le donne hanno potere tra le mura di casa e solo se fanno il gioco dei loro padri, fratelli, mariti. Gli uomini, nella tetralogia de “L’amica geniale” sono tutti tristemente uguali, qualunque sia la loro estrazione sociale e la loro educazione. Deboli, spaventati dai cambiamenti del mondo (in questo libro stiamo attraversando gli anni ’70 con le loro rivoluzioni culturali e con la nascita del movimento femminista), violenti quando sentono vacillare il dominio imposto alle loro donne. Ma se le loro madri hanno sempre accettato il giogo e la violenza, rinunciando alle ambizioni personali a scapito dei bisogni dei loro mariti, Lila e Lena sono diverse, sono embrioni di donne moderne, che vogliono emanciparsi, che vogliono i loro desideri (anche sessuali) diventare realtà, ma che ancora devono scontrarsi con l’educazione loro impartita, con la cultura forte e difficilmente cancellabile del rione. È emblematico che Lena tenti di far parte di un gruppo di intellettuali femministe a Firenze, o cerchi di accettare le idee e il comportamento della cognata Mariarosa, libertina, comunista e fortemente femminista, ma che in fondo tenda sempre a giudicare con gli occhi di sua madre, la verace casalinga napoletana che si scandalizza per un matrimonio civile. Ma questo rende le due protagoniste delle donne vere di un’epoca che ormai potrebbe sembrare lontana, donne combattute e sfaccettate, che cercano di conquistare la libertà coi loro mezzi personali e non attraverso il percorso prestabilito da altri. Lo stesso vale per la lotta sindacale di Lila, che rinuncia formalmente al supporto del partito comunista e intraprende una battaglia personale, quasi fisica, contro il suo datore di lavoro.
“L’amica geniale” e i romanzi che compongono questa tetralogia sono moltissime cose, ma di certo non sono un romanzetto rosa per casalinghe disperate. Sono una storia vera e vibrante di donne che lottano, spesso con metodi sbagliati, per ottenere una vita migliore. Sono una storia d’Italia vista con gli occhi dei più deboli, dove i grandi fatti sono sfondo di esistenze vere, e tragedie personali e storia si mescolano, diventano inseparabili. È una storia di amicizia e sorellanza che sconfigge il tempo, è il racconto di due donne che vogliono farcela.
Non so se Elena Ferrante sia una donna, un uomo, un gruppo di scrittori, un’operazione commerciale ben architettata e riuscita. Ma so che “Storia di chi fugge e di chi resta” è l’ennesimo splendido libro che porta questo nome in copertina. Vedremo quale sarà il verdetto dello Strega, vedremo molti, moltissimi altri articoli in cui si faranno congetture, in cui si criticherà, in cui si faranno paragoni ridicoli, molti, moltissimi altri in cui si loderà con passione l’opera di questo fantasma letterario. Non so quanto questo possa giovare al panorama culturale italiano, non so neppure se questo davvero mi interessi. Ma come lettrice non vedo l’ora di leggere “Storia della bambina perduta”, perdermi tra le sue pagine, amare, odiare, vivere con Lila e Lena per un’ultima indimenticabile volta.