Col suo romanzo precedente “Un karma pesante” (recensione di Letture
Precarie qui), la Bignardi mi aveva positivamente colpita per la sua scrittura
bella e curata, per la sua sensibilità nei confronti del dolore e per la storia
di questa donna spezzata, Eugenia. Ne “L’acustica perfetta” la voce narrante
non è più quella di un personaggio femminile ma è quella di Arno,
violoncellista alla Scala di Milano, padre di tre bambini e sposato con Sara,
di cui è innamorato da tutta una vita. La vera protagonista del romanzo è lei
che, una mattina, quattro giorni prima di Natale, se ne va di casa, lasciando
al marito un biglietto in cui spiega che la sua è una scelta obbligata. Passata
la rabbia e lo sconcerto iniziali, Arno si mette sulle sue tracce ripercorrendo
a ritroso i sedici anni che i due avevano trascorso lontani, cercando qualche
traccia che lo conduca a lei e scoprendo, via via, un mondo doloroso e
inaspettato che Sara gli ha sempre tenuto nascosto. Ma la ricerca della moglie
ben presto diventa anche ricerca di se stesso.
Questo romanzo mi ha lasciato interdetta. Da un lato la Bignardi si
conferma una buona scrittrice e una sensibile osservatrice delle sofferenze
umane. È difficile descrivere personaggi così complessi, con storie così
complicate e dolorose alle spalle, se non si possiede una forte empatia e un
grande spirito di osservazione. Però in questa storia alcune cose non tornano.
Non sono riuscita mai del tutto a capire la fuga di Sara, nemmeno quando la
fitta rete dei suoi misteri veniva districata (di carattere la fuga, ancora se
rocambolesca, senza saluti, senza spiegazioni, non la riesco a concepire. I
problemi normalmente li affronto a muso duro); ma neppure la reazione di Arno
(soprattutto nel finale del libro, in cui si addossa ogni colpa e
responsabilità e addirittura benedice la nuova vita di Sara, cosa sinceramente
non umanamente possibile, dopo così pochi mesi da una rottura, per quanto mi
riguarda. Ma sono opinioni personali ovviamente. Probabilmente sono decisamente
più egoista di Arno); né le reazioni di tutti coloro che circondano la coppia: i
suoceri che coprono la fuga, i figli che non sembrano neanche accorgersi
dell’assenza della madre (per quanto la Bignardi ci spieghi questa reazione per
bocca della dottoressa Migliore, tirando in ballo addirittura Steiner, io penso
a me a otto anni e se mia madre mi avesse abbandonata, senza una parola a
quattro giorni da Natale, sarei finita al manicomio.). Non so. A tratti ho
trovato il tutto davvero esagerato, fuori dal normale, dall’umano. Il
personaggio più vero, in quanto a reazioni e a parole, forse mi è parso
Massimo, che parla poco ma mai a sproposito e che si dimostra nonostante tutto
un amico fedele.
Mi ha convinta solo a metà nonostante sia una lettura complessivamente
piacevole.