Io
per i libri piango, ma di solito, proprio
perché sono libri e si possono chiudere in un secondo, smetto di leggere quando
sento che la commozione cresce pericolosamente. Mi calmo e ricomincio. Evitando
il piagnisteo. Il problema è quando sei alle prese con un libro che non puoi
proprio smettere di leggere, un romanzo che ti assorbe e ti fa perdere la
cognizione del tempo e dello spazio. Io per una settimana ho vissuto in un
altro mondo, nella Istanbul degli anni Settanta e Ottanta. Una città
contraddittoria e bellissima, dove oriente e occidente si incontrano, si
scontrano, si fondono e si mescolano, ma mai sembrano trovare un vero
equilibrio. A guidarmi per le vie colorate e caotiche della capitale del
Bosforo è stata la mano sapiente di Orhan Pamuk, e ho esplorato la Turchia con
il suo occhio critico, vigile, indagatore come guida turistica. Pamuk scrive la
storia (apparentemente su richiesta stessa e su commissione del suo
protagonista) dell’amore contrastato tra Kemal, trentenne rampollo di una ricca
famiglia di imprenditori, e la diciottenne, povera, bella e col sogno di
diventare attrice, Füsun. Oltre alla differenza di classe e status sociale, i
due sono allontanati anche dall’impellente matrimonio di Kemal con la bella,
ricca e apparentemente emancipata Sibel. Ma l’ossessione per Füsun, per il suo
corpo color miele, per la sua voglia di vivere e per l’innocenza dei suoi
diciotto anni, portano lentamente Kemal a distruggere la propria vita, prima
cercando di dimenticare la sua amata e cadendo in una terribile depressione,
poi consacrando la propria vita alla riconquista del suo cuore. Infatti Füsun,
poiché ha perso la verginità (vergognosa macchia per una donna nella Istanbul
degli anni Settanta), è stata costretta dai genitori ad un matrimonio riparatore
con Feridun, pretendente bruttino, con il sogno di diventare regista. Otto
lunghi anni dovranno passare prima che la bella Füsun torni tra le sue braccia
e Kemal, per consolarsi della lunga attesa e per ricordare ogni istante di
felicità trascorso, comincia a rubare gli oggetti che la ragazza tocca o
utilizza, arrivando a riempire un intero appartamento di oggetti legati al
ricordo del suo amore. Sarà da questa strampalata collezione di forcine per i
capelli, cagnolini di ceramica, bottiglie vuote di gassosa e orecchini a forma
di farfalla che prenderà vita il Museo dell’Innocenza, un luogo dove l’amore
tragico tra Kemal e Füsun diventa celebrazione della vita e della felicità.
Pamuk è veramente un narratore
straordinario. Ha la capacità di far immergere il lettore nelle trame del suo
racconto, senza lasciargli modo di respirare. Potevo andare avanti a leggere
per ore e tentavo di trovare un attimo libero per riprendere la lettura. Le sue
descrizioni accurate mi facevano davvero credere di essere a Istanbul, tra le
sue vie intricate e caotiche, di sentirne i profumi e il chiasso, di assaporare
i piatti che per otto anni Kemal gusta alla tavola di Füsun. È un libro vivo,
come i suoi protagonisti. Kemal e Füsun sono Istanbul, sono la Turchia e il suo
popolo, con il suo folklore e il suo perenne equilibrio precario tra Oriente e
Occidente, tra ricchezza e povertà, tra laicismo e Islam. Le tradizioni di un
mondo antico e islamico si scontrano con le nuove abitudini della Turchia
moderna che vuole guardare all’Europa ma che non riesce a farlo senza sensi di
colpa. E così per le strade di Istanbul, ragazze in minigonna e capelli tinti
di biondo sognano di perdere la verginità prima del matrimonio, per sentirsi
occidentali ed emancipate, ma allo stesso tempo si affidano speranzose al
tacito accordo di esser sposate da colui che le ha deflorate, per conservare
l’onore. E allo stesso tempo gli uomini sono attratti e intimoriti da questo
nuovo modello femminile, bevono Coca Cola e liquori di contrabbando, ma sognano
una famiglia tradizionale, una “ragazza seria” che non si conceda loro prima
del matrimonio.
La bellezza di Istanbul (per chi come me
non l’ha mai visitata la tentazione di fare la valigia e partire risulterà
fortissima), perla incastonata tra Medioriente ed Europa, tra terra e mare, non
poteva essere descritta, o meglio celebrata, in modo migliore.
Ma la cosa più bella dell’intero romanzo è
che si tratta di un progetto ben più esteso di quanto possa sembrare: infatti
il Museo dell’Innocenza esiste davvero ad Istanbul, e proprio laddove viene
posizionato nel romanzo. Pamuk lo ha pensato insieme col romanzo ma è riuscito
a realizzarlo solo qualche anno più tardi. In ogni edizione cartacea del libro
c’è anche un biglietto omaggio per visitarlo. Questa scoperta ha ulteriormente
incrementato la mia stima per questo straordinario scrittore e il mio amore per
questo splendido romanzo. Assolutamente imperdibile (ma da affrontare con i
fazzoletti a portata di mano). Un cantico dell’amore e della felicità dei
piccoli gesti quotidiani.
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