Si può essere un genio della fisica,
premio Nobel, speranza per la salvezza dell’intero pianeta, vessato dal
riscaldamento globale, e allo stesso tempo essere una persona odiosa,
sgradevole, lasciva? A quanto pare sì e l’incarnazione di tale prodigio della
contraddizione si chiama Michael Beard, il protagonista di “Solar”. Il
professor Beard è stato insignito della prestigiosa onorificenza svedese per la
fisica ma la sua vita, sia lavorativa che privata, non ha preso una bella
piega: sembra aver esaurito le idee e anche a tratti il filo delle nuove
scoperte in fatto di fisica, è a capo di un centro di ricerca sulle energie
rinnovabili a Reading, fondato da Tony Blair per scopi squisitamente
propagandistici, che ha poco più dell’appeal di una macchina mangiasoldi. È un
marito pluri-fedifrago e con quattro divorzi alle spalle. Di colpo la sua vita
sembra precipitare quando scopre che, per una volta, è lui ad esser stato
tradito dalla moglie Patrice, e addirittura con due uomini diametralmente
opposti: Tarpin, il manovale che ha ristrutturato il loro bagno, e Tom Aldous,
un giovane post-dottorando impiegato nel centro per le energie rinnovabili.
Tragicamente il ragazzo rimane vittima di un incidente domestico, ma proprio
dalla sua drammatica (e rocambolesca) fine, rifiorisce la vita del professor
Beard. Il giovane fisico, infatti, lascia in eredità al proprio mentore un
cospicuo lavoro di ricerca sullo sfruttamento della radiazione solare per
produrre sia energia elettrica che idrogeno. Ma via via che il successo
lavorativo riprende piede nella sua vita, Beard inizia un precipitoso declino morale
e fisico verso la rovina, quasi il suo corpo fosse una sorta di ritratto di
Dorian Gray per il criminoso patto con la propria coscienza che Beard sigla
plagiando le idee di Aldous.
Sono una grande amante di McEwan,
“Espiazione” è di certo uno dei libri che entra nella mia personale top ten, ma
ho adorato anche “Amsterdam”, “L’amore fatale” e “Miele”. “Solar” è un ottimo
libro, in cui lo humor nero di McEwan, già assaporato in “Amsterdam”, trova
probabilmente la sua massima espressione, ma forse tra i cinque suoi romanzi
che ho letto è quello che mi ha entusiasmata meno. Ed il motivo è
essenzialmente che detesto il protagonista. Beard è un personaggio davvero
incredibile e deplorevole, che ricorda da vicino (se escludiamo il premio
Nobel) molti personaggi reali che popolano le università italiane: professori
gradassi che ormai hanno perso qualunque vena creativa e campano alle spalle di
giovani ricercatori nel fiore della loro attività scientifica. È un misogino,
un bugiardo seriale e vive in condizioni igienico-sanitarie allarmanti. McEwan
riesce a trasmettere la sua sgradevolezza in modo proverbiale, anche perché nei
suoi romanzi raramente personaggi del tutto senza macchia e senza vergogna si
possono incontrare. Tutti sono, almeno in parte, personaggi negativi. Beard è
allegoria di un pianeta e di un’umanità distrutti sia fisicamente che
moralmente e anche nell’ambiguità del finale non abbiamo la certezza che per
lui (e per ciò che di malato rappresenta) ci sia una speranza: il guizzo al suo
grasso cuore è amore o un infarto? Un altro tratto caratteristico di McEwan che
troviamo anche in “Solar”, e questo è il valore aggiunto dei suoi romanzi, è
che dietro la storia romanzata, c’è uno studio profondo dell’argomento trattato
(e non è mai lo stesso), che mai viene affrontato in modo superficiale o
scontato. In questo caso le energie rinnovabili e il riscaldamento globale. Altro
elemento tipicamente McEwaniano è il colpo di scena usato come pretesto
letterario per stravolgere la trama. Tirando le somme posso dire di apprezzare
decisamente di più McEwan come scrittore drammatico o tagliente che non nei
panni di scrittore comico.
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