sabato 31 dicembre 2011

Bilanci e propositi

Come è giusto che sia, alla fine di ogni anno è necessario fare un bilancio dei 365 giorni appena trascorsi e anche porsi degli obiettivi per il futuro. Ovviamente lo farò in termini letterari!

Cominciamo dal bilancio:
  1.         Questo è sicuramente stato l’anno di Murakami Haruki. L’ho scoperto in gennaio leggendo “Dance dance dance” e di lì non mi sono più fermata divorando tutti i suoi romanzi che mi sono capitati per le mani, fino ad arrivare al meraviglioso “1Q84”. Ovviamente ora aspetto con ansia il terzo libro che spero allieterà il mio 2012 letterario.
  2.       Il mio 2011 è stato segnato da due scrittori italiani che mi hanno conquistata con le loro due opere prime e che credo meritino di essere menzionati in questo post: Michela Murgia con “Accabadora” e Fabio Geda con “Nel mare ci sono i coccodrilli”. Due piccoli gioielli della nostra letteratura, l’una per lo stile e la scrittura, l’altro per la storia meravigliosa che ha deciso di raccontare.
  3.        Lo scrittore che ho scoperto nel 2011 e che insieme a Murakami ha completamente rivoluzionato i miei gusti letterari è Jonathan Franzen. “Le correzioni” e “Libertà” sono due capolavori della letteratura americana moderna. Ciò che mi ha conquistata dei due romanzi sono  i suoi personaggi. Si tratta di uomini e donne pieni di difetti e di negatività, ma ogni lettore riesce a trovare in ognuno di loro almeno una caratteristica, un pensiero, un’azione che gli appartengono. Mostra con chiarezza la natura umana spogliata da ogni ipocrisia, priva di ogni buonismo.
  4.        Infine sono riuscita a leggere due libri che da anni e anni desideravo leggere: “La banalità del male” di Hanna Arendt e “Cassandra” di Christa Wolf. Soddisfatta di entrambi.
  5.    Questo anno letterario si è concluso con la scoperta di Twitter e la decisione di tenere un blog che parli della mia passione per la lettura. Sono solo all’inizio di questa impresa ma per ora ne sono molto soddisfatta soprattutto perché leggere un libro nell’ottica di doverlo raccontare a qualcuno (forse!) mi spinge a farlo con maggior attenzione e consapevolezza. Quindi spero di tediarvi ancora a lungo con i miei resoconti letterari.

 

Ma cosa mi propongo per questo anno che sta per iniziare?
  1.              Leggere di più e leggere meglio. Vorrei davvero riuscire a trovare più tempo per la lettura, anche se purtroppo sarà difficile. Ma certamente mi impegnerò per ritagliare un po’ di tempo in più da dedicare alla mia passione.
  2.         Ebook o non ebook? Questo è un vero dilemma. Pensare di poter girare con nella borsa 1400 libri è una tentazione enorme, e anche la lettura risulta inaspettatamente rilassate e piacevole. Però la carta rimane la carta. L’odore delle pagine, la sensazione sotto le dita lasciandole scivolare su una copertina, i giri in libreria e i miei scaffali colmi di volumi che non so più come sistemare: a queste cose non sono ancora pronta a rinunciare. Devo meditare ancora e trovare un compromesso.
  3.        Continuare a scrivere e a coltivare la mia passione, perché mi fa sentire viva e felice.
  4.             Ed infine i libri che vorrei tanto trovare il tempo di leggere: “La coscienza di Zeno” di Svevo, “Delitto e castigo” di Dovstoevskij, “Una donna” dell’Aleramo, “Solar” di McEwan, “Memorie d'una ragazza perbene” di Simone de Beauvoir, “Il corpo odiato” di Nicola Lecca … e tanti tanti altri.


Che altro dire? Un buon 2012 di lettura a tutti!

venerdì 30 dicembre 2011

“Ogni mattina a Jenin” Susan Abulhawa

“Ogni mattina a Jenin” è l’opera prima di Susan Abulhawa, una scrittrice americana di origini palestinesi. Si tratta di un’epopea familiare segnata dall’odio e dall’amore. La storia inizia nella Palestina degli anni Quaranta del Novecento. La famiglia Abulheja vive, nel villaggio di ‘Ain Hod, una vita scandita dai ritmi della terra e degli ulivi, delle rose e degli amori. Allo scoppiare della guerra arabo-israeliana del 1948 la famiglia Abulheja viene allontanata dal proprio villaggio e trova rifugio nel grande campo profughi di Jenin. La storia di questa famiglia diventa la storia di un popolo scacciato dalle proprie terre e allontanato dalle proprie radici: ci sono gli anziani che tentano di tener viva la tradizione e la cultura palestinese nei cuori dei più giovani, gli adulti che vivono ogni giorno come drammatica attesa del ritorno alle loro vite, i bambini che nascono e crescono tra le case di paglia e argilla ascoltando i racconti della terra che non potranno mai calpestare, covando in petto un odio e un rancore trasmessi loro dal peso della storia. Il racconto assume spesso il punto di vista di Amal, la figlia più giovane di Hassan e Dalia Abulheja: i suoi racconti conducono il lettore attraverso le terribili vicende della guerra dei Sei giorni, la vita in un orfanotrofio di Gerusalemme, l’esilio negli Stati Uniti. E poi il ritorno in Libano dove Amal troverà l’amore e se stessa, e dove di nuovo la guerra sconvolgerà la sua vita e la costringerà a fuggire.
Questo romanzo ha un enorme pregio: in letteratura la questione israelo-palestinese è trattata, nella quasi totalità dei casi, da voci israeliane (seppur critiche, in alcuni casi). Susan Abulhawa dà voce finalmente al punto di vista palestinese. Un secondo punto di forza è la riflessione continua, che attraversa ogni pagina del libro e tutti i suoi personaggi, sul dolore e sulla conseguente reazione alla perdita di ciò che si ama, della propria libertà e della propria vita. Tutti i protagonisti perdono le cose e le persone che amano e ognuno metabolizza il dolore e la disperazione a suo modo: Dalia reagisce al rapimento del piccolo Isma’il rinchiudendosi in un mondo suo, fatto di fantasmi e ricordi coi quali essa sola può dialogare; Amal fugge lontano e ricopre il suo cuore di una coltre di ghiaccio impenetrabile; Yussef decide di vendicarsi in modo violento e distruttivo. Nonostante tutto le vite dei protagonisti sono però trascinate da un motore inarrestabile: l’amore. L’amore coniugale, per i propri figli, per la propria terra è il filo conduttore tra una generazione ed un’altra, e si fa veicolo di speranza. Ad esso è contrapposto l’odio, profondo, viscerale e quasi animalesco, con il quale i personaggi devono confrontarsi e del quale spesso diventano vittime.
Ogni pagina di questo romanzo apre lo sguardo del lettore su uno dei più gravi conflitti che da ormai oltre sessant’anni affliggono il Medioriente. La mia sensazione finale è che la catena di orrori che si sono scatenati in quella terra difficilmente riuscirà ad essere interrotta, perché troppo gravi sono le ingiustizie e le violenze che si sono perpetrate nei decenni, sotto lo sguardo di un Occidente che ha finto di non vedere e di non sapere.

giovedì 22 dicembre 2011

“Dieci piccoli indiani” Agatha Christie

Ho deciso di leggere questo libro per prendermi una sorta di “pausa emotiva” dopo “Cassandra”, che mi aveva molto provata, quasi prosciugata (mi ha fatta piangere molto e con i libri mi capita di rado!). Quale miglior lettura di un distensivo giallo alla vecchia maniera? Comincio dicendo che Agatha Christie è sempre Agatha Christie. È impensabile immaginare un qualunque altro scrittore descrivere un delitto efferato e poi subito dopo servire un the delle cinque ai suoi personaggi senza cadere nell’ironia o nello splatter. Lei invece ci riesce con tranquillità, con naturalezza.  La sua classe e il suo sottile umorismo britannico non hanno uguali.
“Dieci piccoli indiani” è stato scritto nel 1939 e, non fatevi ingannare, il titolo è assolutamente fittizio. L’originale è “Ten little niggers” e infatti all’interno del romanzo questi benedetti indiani non compaiono mai, bensì sentirete parlare spesso dei “negretti”. Questo perché ovviamente “nigger” ha un’accezione razzista e dispregiativa, ma la cosa curiosa è che solo il titolo è stato modificato e non il testo. Una decisione assai stramba ma si sa, le scelte dei traduttori spesso sono discutibili. Quest’opera rappresenta un’evoluzione del modello di giallo a “camera chiusa” classico, già visto nel noto “Assassinio sull’Orient Express”. In questo caso però è assente la figura dell’investigatore, del personaggio super partes di cui non si sospetta e che mantiene un certo ordine e un certo grado di giustizia. In questo romanzo non ci sono investigatori ma solo dieci personaggi, apparentemente comuni e banali, che si incontrano su una piccola isola, Nigger Island. Ben presto si scoprirà che tutti sono caduti in una trappola escogitata per eliminarli ad uno ad uno e per far loro espiare una serie di omicidi per i quali non sono stati puniti dalla legge ordinaria. La tensione cresce via via che gli omicidi si susseguono, sul ritmo di una poesia per bambini intitolata “Dieci negretti” e alla quale l’assassino si ispira nella sua sequenza di orrori. Nessuno è al di sopra di ogni sospetto, tutti indagano e si osservano, mentre meditano sulle colpe da loro commesse e nascondono, anche a loro stessi, molte verità. Il concetto di camera chiusa estremizzato crea nel lettore un’inquietudine che difficilmente si trova in altri romanzi della Christie. Una nota: è impossibile capire l’assassino, non ci provate, al massimo potreste sospettarlo! 

sabato 17 dicembre 2011

“Cassandra” Christa Wolf

“Cassandra” è uno dei libri di maggior complessità, profondità e grazia che mi sia mai capitato di leggere. Cassandra è stata fatta prigioniera da Agamennone e ora si trova a Micene, in attesa che Clitemnestra uccida il marito per poi togliere la vita all’illustre prigioniera e ai suoi bambini. Cassandra trascorre quelle che sa essere le sue ultime ore ripercorrendo e narrando a se stessa, alla serva Marpessa e al suo amato e ormai lontano Enea, la sua storia: l’infanzia felice con i fratelli nella cittadella di Troia, il sacerdozio, la guerra ed infine la sciagura che colpiranno la sua città. Il tutto viene catturato in un flusso di coscienza trascinante e serrato, in cui Cassandra e il lettore si perdono, sbalzati nei luoghi e nei tempi di una vita costellata di laceranti contrapposizioni. C’è la società matriarcale presieduta da Ecuba, e perpetrata dalle donne che vivono nascoste nelle grotte lungo lo Scamandro, che si scontra con il potere forte del marito Priamo, con il potere degli uomini in guerra; il mondo onirico di Cassandra e delle persone che la circondano che cozzano con la realtà dei fatti, sempre più cupa. E poi le tradizioni e l’orgoglio troiano che resistono in apparenza ma che sono sopraffatti dalla sconfitta e dagli errori dei propri regnanti. Il ruolo sacerdotale della protagonista che la rassicura ma che al tempo stesso la conduce ad una completa perdita della propria fede. La sua relazione carnale con il sacerdote Pantoo contrapposto al suo amore incondizionato per Enea. Ma soprattutto la vita di Cassandra si fonda su un dualismo insolubile: il suo desiderio di conformarsi, essere accettata, rientrare nel circolo di Priamo e della società troiana, e il suo istinto sempre più forte ed incontrollabile di opporvisi, di diventare voce dissonante all’interno della sua casa. Una risposta ad una vita spezzata dalle contraddizioni sembra giungere solo nel momento della sciagura, quando nulla è più recuperabile. Si tratta di una storia dalla trama semplice ma che nasconde tra le righe un substrato di una complessità ineguagliata: come non vedere nelle mura di Troia, che via via diventano gabbia per Cassandra, il muro di Berlino? E non si sente forse nelle domande della veggente sul proprio ruolo un investigare il ruolo della scrittrice da parte della Wolf? E poi la riflessione sulla guerra e le sue atrocità, che paiono essere indispensabili e divertenti per il maschio (come asserisce la regina delle amazzoni Pentesilea prima di essere trucidata e oltraggiata da Achille “la bestia”).
 È un’opera straordinaria e che riesce ad indurre il lettore ad interrogarsi sulle proprie battaglie interiori e a trovare una sempre nuova chiave di lettura  nel flusso di coscienza della sventurata Cassandra, come a dire che in ognuno di noi in fondo vi è un po’ di lei.

giovedì 15 dicembre 2011

Una passione che arriva da lontano (2)

Una nuova "puntata" dei miei ricordi di lettura, di quelle piccole meravigliose esperienze che hanno fatto  nascere in me l’amore per la letteratura.
Era un pomeriggio estivo, ero in casa con mia sorella e mia madre. Il cielo bigio di colpo si fece plumbeo, di un’oscurità quasi notturna, e grosse gocce di pioggia cadevano con forza, battendo forte contro i vetri delle finestre. I tuoni rimbombavano fortissimi e i fulmini illuminavano con la loro luce gelida la stanza. La corrente elettrica ben presto se ne andò e mia madre per distrarci dal temporale accese alcune candele e cominciò a leggere per noi. Non le solite storie per bambini. Guidata probabilmente da alcuni ricordi sfilò dalla nostra biblioteca un libricino bianco e rosso. Ci spiegò che era un libro di poesie che aveva comprato da ragazzina, di un poeta tedesco dal nome impronunciabile, per noi così piccole. Cominciò a leggere con l’enfasi che solo mia madre sa usare nella lettura. E io rimasi a bocca aperta ascoltando parole così belle ma anche così difficili da comprendere ed assimilare. Era un mistero rimanere così attratti da un racconto pur non comprendendolo davvero, solo cullati dalla bellezza delle parole. Ad anni di distanza ho ripreso quel libro e l’ho letto, questa volta finalmente comprendendolo. Era “Poesie e Canzoni” di Bertolt Brecht. Manco a dirlo ho immediatamente adorato i suoi versi, collegandoli anche ai bellissimi ricordi di quel pomeriggio speciale insieme a mia madre. Per omaggiare questo ricordo la mia tesina di quinta liceo è stata completamente dedicata a questo poeta e alla sua opera. Qui voglio riportare la poesia che con maggior nitidezza ricordo di aver sentito leggere da mia madre.

"Mio fratello aviatore"

Avevo un fratello aviatore.
Un giorno, la cartolina.
Fece i bagagli, e via,
lungo la rotta del sud.

Mio fratello è un conquistatore.
Il popolo nostro ha bisogno
di spazio; e prendersi terre su terre,
da noi, è un vecchio sogno.

E lo spazio che s'è conquistato
è sui monti del Guadarrama.
E' di lunghezza un metro e ottanta,
uno e cinquanta di profondità.

PS: due anni fa sono stata a Berlino con alcuni amici e un pomeriggio sono andata a visitare la casa dove Brecht ha vissuto gli ultimi anni della sua vita e dove è morto. Per chi capitasse a Berlino è un’esperienza unica: mi sono trovata a girare nella sua casa dove ogni cosa (i libri, i mobili, il cappotto appeso alla porta) è rimasta come lui l’aveva lasciata, con una guida turistica adorabile che citava a memoria le sue poesie migliori e mi raccontava aneddoti della sua vita sospirando estasiata “Era un uomo meraviglioso!”. Inoltre ho avuto la fortuna di essere l’unica turista e mi è stato dedicata una visita privata. Quindi l’emozione è stata ancora più grande. Alla fine mi sono anche concessa un giro sotto la neve nel cimitero che costeggia la casa e dove Brecht è sepolto. Davvero imperdibile, un’esperienza che mi è rimasta nel cuore.

mercoledì 14 dicembre 2011

"1Q84" Murakami Haruki

Murakami è il tipico scrittore che si ama o si odia. Non ci possono essere vie di mezzo. Il mio incontro con la sua scrittura è avvenuto alcuni mesi fa. Su consiglio di mia sorella ho letto “Dance dance dance”. Non sapevo nulla di lui, del suo stile e della sua opera. E l’unico avvertimento ricevuto era stato: “Sicuramente non hai mai letto nulla di simile”. E mai profezia fu più azzeccata. Il romanzo era come un vortice che mi toglieva il respiro ma mi obbligava a proseguire, inghiottita da una trama sempre più contorta e oscura, tinta di noir, di sesso, immagini oniriche inquietanti, trascinata da una scrittura ritmata, suadente. Per arrivare ad un finale dove nulla è chiarito e la differenza tra sogno e realtà tangibile non è mai stata così sottile. L’ho adorato. A seguire ho letto “Norwegian Wood – Tokyo Blues” (il libro forse più intimo di Murakami) e l’inquietante “Kafka sulla spiaggia”. Al momento di cominciare “1Q84” insomma sapevo già in parte cosa aspettarmi. Ma ancora una volta Murakami è riuscito a stupirmi e a conquistarmi. I protagonisti sono Aomame e Tengo, due trentenni che vivono esistenze completamente separate nella Tokyo del 1984. Per una serie di eventi misteriosi Aomame si rende conto di non vivere più nel solito Giappone ma di essere stata catapultata in un mondo parallelo (o alternativo) dove spiccano leggere differenze rispetto al mondo nel quale è sempre vissuta, e delle quali pare essere l’unica ad accorgersi. Una su tutte: il cielo notturno è illuminato dalla solita vecchia luna ma ad essa ne è accostata una seconda, piccola e accartocciata come un fagiolo secco, e di colore verde. È sotto il segno di queste due fredde lune che si svolgeranno le vicende di questa giovane donna misteriosa. Al contempo scopriamo la storia di Tengo, un professore di matematica con l’hobby della scrittura e senza grandi ambizioni, incaricato di riscrivere l’inquietante romanzo di Fukaeri, una diciassettenne bella ed enigmatica, “La crisalide d’aria”. Le storie dei due giovani si alternano con ritmo regolare (un capitolo a testa) e si intrecciano sotto il segno di un passato lontano e di un presente a tinte fosche, caratterizzato dai famigerati Little People evocati da Fukaeri. Le due solitudini di Tengo e Aomame orbitano intorno alle loro esistenze solitarie e vuote, prive di amore e di affetti. 1Q84 è una trilogia e in Italia editi da Einaudi sono usciti solamente i primi due volumi. Ovviamente molto rimane irrisolto, e molto lo resterà anche nel terzo libro, in pieno stile Murakami. Ciò che maggiormente mi ha colpita di questa storia è il relativismo assoluto del mondo descritto: il confine tra sogno, realtà, fantasia, vita quotidiana e finzione letteraria assume contorni sfocati, spesso irriconoscibili non solo per il lettore, ma anche per i protagonisti stessi. La seconda caratteristica che rende grande quest’opera è l’Amore, puro, effimero e totale che si annida in ogni pagina, in ogni riga, anche laddove è palesemente assente. L’Amore non è sesso (che è copioso, selvaggio ma sempre naturale, necessario come in ogni opera di Murakami) ma è idealizzazione, ricordo, dedizione ad un’idea astratta, ma anche obiettivo finale e motore delle scelte decisive della vita. L’amore di Aomame la rende viva, la spinge a lottare, quello di Tengo dà finalmente senso ad un’intera esistenza vissuta spesso senza un progetto, senza un obiettivo. Ora attendo con ansia il terzo capitolo per concludere la lettura di un’opera davvero meravigliosa.

domenica 11 dicembre 2011

“Midnight in Paris” Woody Allen

Era un pezzo che non andavo al cinema e ho democraticamente imposto alla mia dolce metà di vedere “Midnight in Paris”. Ovviamente lui avrebbe preferito un bel film di azione, possibilmente in stile epico (vedi “Immortals”) e mi ha assecondata parecchio a malincuore accusandomi di essere la solita “radical-chic”. È vero, lo stile inconfondibile del vecchio Woody a gran parte degli spettatori non risulta proprio leggero e fruibile, ma la combinata di Parigi (la mia città del cuore) e artisti che in essa hanno trovato ispirazione non poteva che attirarmi. La trama è molto semplice e a tratti forse un po’ debole: Gil è uno sceneggiatore di Hollywood innamorato di Parigi e del fervente ambiente culturale che l’ha caratterizzata negli anni Venti del Novecento. Durante un soggiorno nella Ville Lumière, insieme alla ben poco simpatica  futura moglie Inez, Gil si imbatte in una sorta di mondo parallelo in cui (a mezzanotte in punto) viene catapultato nella Parigi dell’epoca che egli tanto ama. Qui ha la possibilità di incontrare le più grandi menti di tutti i tempi: Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald con la sua Zelda, Gertrude Stein,  Salvador Dalí, Pablo Picasso, Henri Matisse, T. S. Eliot, Luis Buñuel, Cole Porter. Il viaggio nel tempo avviene senza effetti speciali, ma con naturalezza, quasi che la vera trasformazione non fosse tanto attorno a Gil quanto dentro di lui. Egli infatti trova in questa avventura nel tempo una fuga da un presente frustrante e insoddisfacente. La nota di merito all’intera pellicola a mio parere risiede proprio in questo viaggio interiore del protagonista che, ad ogni nuova avventura negli Anni Venti, si avvicina sempre più a comprendere i problemi del presente, e che nel finale lo porta a scegliere di non fuggire dalla dura realtà ma di restare nel presente e qui tentare di cambiare in meglio la sua sorte. Sicuramente la trama è un po’ sempliciotta come anticipato, ma per chiunque ami (come faccio io!) Parigi, la cultura, la letteratura, la musica e l’arte, non può che essere un film carino e divertente. Ovviamente se manca un certo tipo di background culturale seguire le vicissitudini di Gil e le sue peripezie tra salotti culturali e feste modaiole può risultare complicato. Se può rincuorare i più scettici però anche il mio fidanzato, ben poco radical-chic, ha apprezzato il film. Da vedere!

PS: per i più maligni il prezzo del biglietto potrebbe essere ripagato dal veder recitare la Première Dame Carlà... INTOLLERABILE!

venerdì 9 dicembre 2011

Una passione che arriva da lontano (1)

Nel momento in cui ho deciso di tenere questo blog mi sono messa a riflettere su questa mia passione smodata e viscerale per i libri. Ho una serie infinita di ricordi legati alla lettura, all’ascolto di storie raccontate dai miei genitori. Quindi via via ho deciso di raccontarne qualcuno per me particolarmente significativo. Il primo ricordo che serbo è di me davvero molto piccola, nel letto sotto le coperte. La luce è quella calda e fioca dell’abat-jour e la voce è quella di mio padre. Mi racconta per la milionesima volta la mia fiaba preferita, tratta da un enorme libro dalla copertina consumata. Ricordo ancora quel libro con tenerezza: la copertina ruvida e bianca, con una coppia di conigli disegnati a china nera, e alcuni scarabocchi a penna blu aggiunti da mia sorella, impossessata da “estro artistico”. La fiaba di intitolava “Il Viaggiatore di Timbuctù”. Pensavo non l’avrei mai ritrovata e invece internet ancora una volta mi ha salvata! È bastato scrivere su Google alcune frasi che ricordavo a memoria (dopo almeno 20 anni che non la sentivo!) per ritrovarla immediatamente.
Bon borobòn, bon borobòn...

- Chi è che bussa al mio porton?

- Aprite, Sire, sono arrivato,
il mio viaggio è terminato.
- Vieni da lontano o da vicino?
- Da mille miglia e un pezzettino,
da mille miglia e un po’ di più: 
arrivo adesso da Timbuctù.
- Per la strada, cos’hai veduto?
- Un mulino su un noce fronzuto,
e il mugnaio che era un can barbone
che salutava tutte le persone. 
- Oh, che bugiardo! Guardie, a me,
vada in prigione sui due pie’!
Bon borobòn, bon borobòn...
- Chi è che bussa al mio porton?
- Aprite, Sire, sono arrivato,
il mio viaggio è terminato.
- Vieni da lontano o da vicino?
- Da mille miglia e un pezzettino,
da mille miglia e un po’ di più: 
arrivo adesso da Timbuctù.
- Per la strada, cos’hai veduto?
- Un cane scendeva da un noce fronzuto,
e aveva le orecchie e la codina
tutte bianche di farina...
- Hai detto il vero! Guardie, a me,
liberatelo sui due pie’!
Bon borobòn, bon borobòn...
- Chi è che bussa al mio porton?
- Aprite, Sire, sono arrivato,
il mio viaggio è terminato.
- Vieni da lontano o da vicino?
- Da mille miglia e un pezzettino,
da mille miglia e un po’ di più: 
arrivo adesso da Timbuctù.
- Che cos’hai visto, dimmi un poco?
- Ho visto l’acqua prendere fuoco:
bruciavano stagni, fiumi e laghetti,
fontane, sorgenti e ruscelletti.
- Oh, che bugiardo! Guardie, a me,
vada in prigione sui due pie’!
Bon borobòn, bon borobòn...
- Chi è che bussa al mio porton?
- Aprite, Sire, sono arrivato,
il mio viaggio è terminato.
- Vieni da lontano o da vicino?
- Da mille miglia e un pezzettino,
da mille miglia e un po’ di più: 
arrivo adesso da Timbuctù.
- Per la strada, cos’hai veduto?
- In un prato mi sono seduto, 
e c’erano lì tra le margherite
tre code di pesce abbrustolite.
- Hai detto il vero! Guardie, a me,
liberatelo sui due pie’!
Bon borobòn, bon borobòn...
- Chi è che bussa al mio porton?
- Aprite, Sire, sono arrivato,
il mio viaggio è terminato.
- Vieni da lontano o da vicino?
- Da mille miglia e un pezzettino,
da mille miglia e un po’ di più: 
arrivo adesso da Timbuctù.
- E cos’hai visto per strada di bello?
- A Parigi ho visto un uccello,
in cima a una torre seduto stava
e tutto il cielo con l’ali oscurava.
- Oh, che bugiardo! Guardie, a me,
vada in prigione sui due pie’!
Bon borobòn, bon borobòn...
- Chi è che bussa al mio porton?
- Aprite, Sire, sono arrivato,
il mio viaggio è terminato.
- Vieni da lontano o da vicino?
- Da mille miglia e un pezzettino,
da mille miglia e un po’ di più: 
arrivo adesso da Timbuctù.
- E cos’hai visto di interessante?
Una nuvola gigante
che a mezzogiorno faceva sera
da Parigi alla Riviera. 
- Hai detto il vero! Guardie, a me,
liberatelo sui due pie’!
È una fiaba per bambini ma il suo ritmo incalzante, il ripetersi di questo ritornello musicale, la narrazione di fatti completamente fantasiosi e l’evocare luoghi lontani, esotici… tutto questo è quello che amavo, e che ancora oggi, in fondo, cerco nei romanzi che leggo: evasione, fantasia, avventura, un ritmo trascinante che mi conduca per mano fino in fondo alla narrazione. È anche grazie a questa favola che oggi sono una divoratrice di storie, non potevo non dedicarle un post!



giovedì 8 dicembre 2011

“Indignatevi!” Stephane Hessel

Sono sinceramente un po' delusa da questo breve saggio. Ho cominciato a leggerlo con entusiasmo e piena di aspettative visto cosa sta accadendo in giro per tutto il mondo … Non c’è Paese in questo momento che non sia interessato da proteste, rivolte e occupazioni di varia entità e violenza. Le motivazioni sono diverse: nel mondo occidentale si sta mettendo in dubbio di un modello socio-economico che si è dimostrato fallimentare, nel mondo mediorientale e orientale ad essere contestato è un modello politico che troppo spesso ha assunto contorni dittatoriali e repressivi. Indubbiamente il valore del libro è correlato alla figura dello scrittore, Stephane Hessel, un partigiano francese (ma nato in Germania) durante l'occupazione nazista della Francia. Quest'uomo di 93 anni, ha scritto questo saggio con lo scopo di spiegare i valori della Resistenza alle nuove generazioni e per motivarle a combattere le ingiustizie e le brutture del mondo. La sua teoria è che ognuno dovrebbe trovare nella realtà che lo circonda qualcosa di tanto sbagliato e ingiusto da riempirlo di indignazione e da fare di lui un combattente, un partigiano degli anni Duemila. Quest’idea alla base della narrazione è molto interessante, regala al lettore numerosi spunti di riflessione e di discussione, ed è di particolare attualità in questo momento storico di proteste e di radicali cambiamenti all'interno della società. Il suo valore aggiunto risiede nel fatto che la sua pubblicazione è avvenuta mesi prima della vera e propria nascita dei movimenti degli “Indignati” e delle proteste della primavera araba. Il problema è però che il flusso narrativo risultata spesso pesante e  non lineare, alcuni passaggi sembrano scollegati. Insomma,  per i "veri combattenti" e per coloro che sentono di essere potenziali “Indignados” è una lettura essenziale, ma rinunciando alle aspettative stilistiche!

mercoledì 7 dicembre 2011

Un mondo imperfetto

Ho deciso di creare questo blog in una mattina di dicembre piena di sole … un segno di speranza per una vita che, spesso, non sembra avere troppe prospettive. Ho 27 anni compiuti, sto per cominciare il mio ultimo anno di dottorato e sono una potenziale scienziata. Oddio, potenziale … in un Paese come quello in cui viviamo è sempre stato molto complicato diventare ricercatori, per la mia generazione probabilmente sarà completamente impossibile. Ogni giorno mi devo scontrare con la dura realtà della precarietà, della mancanza di prospettive e, troppo sovente, anche di stimoli. La mia sensazione è di essere un vasetto di yogurt, con la mia bella data di scadenza stampata in fronte. Ho un contratto a tempo talmente determinato che so già quando finirà e che non verrà rinnovato (“non ci sono prospettive, è inutile tenerti qui! È più onesto lasciarti libera di trovarti la tua strada!”). Lavoro molto perché, nonostante tutto, adoro cosa faccio. E in fondo, anche se la vita non mi riserva sempre e solo il meglio ultimamente, sono felice perché so come fare per evadere da questo mondo a tratti così ingiusto … ho i miei libri. Immergermi nella lettura, nei mondi così fantasiosi in cui le pagine di un buon romanzo possono catapultarmi, mi fa sentire davvero viva. Facendomi dimenticare per un secondo le mie disavventure e facendomi appassionare a quelle di qualcun altro, evado da una realtà grigia che un po’ mi sta stretta.
 È un mondo imperfetto quello in cui vivo, ma ho un sacco di luoghi meravigliosi in cui rifugiarmi …
Non so ancora bene che struttura dare a questo blog. Mi piacerebbe creare una sorta di diario letterario delle mie letture e della mia vita. Ma non so se riuscirò nell’impresa. Per ora mi accontento di provarci e di sfogare un po’ delle frustrazioni che il mondo reale mi regala in questo “ambizioso” progetto … staremo a vedere!!